Dai casalinghi a Thun La famiglia Bonapace lascia dopo 50 anni
La titolare Cecilia: «Siamo arrivati alla scadenza naturale» Ma le ceramiche altoatesine riapriranno con un nuovo shop
TRENTO. Cecilia Bonapace, 46 anni, da 25 alle redini del negozio di famiglia, vuole che sia un “addio” con il sorriso. Sulla vetrina campeggia una scritta di commiato per la clientela che parla di “una bella avventura che sta finendo” e rivolge a tutti un “caloroso saluto”. Lei, la titolare, la spiega così: «Ha presente la dicitura: “consumarsi preferibilmente entro...”? Ecco: il negozio ha raggiunto la sua naturale scadenza». Il Thun Shop di via Manci, angolo galleria dei Partigiani abbasserà le serrande a metà febbraio, probabilmente il 21, appena conclusi i saldi (gli sconti vanno dal 20 al 50%).
Ma il locale non resterà vuoto: «Sarà chiuso a marzo e aprile per lavori, poi arriverà una sorpresa», dice Bonapace. La sua famiglia, che è proprietaria dell’immobile, ha già trovato un’attività cui affittare il negozio. Seppur in una nuova sede, anche Thun continuerà a mantenere la sua presenza a Trento, con uno shop monomarca che sarà aperto a breve. E la stessa Cecilia non ha intenzione di lasciare il commercio: «Mi dedicherò al magazzino che abbiamo a Gardolo - dice - dove lavoreremo all’ingrosso sempre nel campo dell’oggettistica. C’era la necessità di trovare un nuovo filone e mi ci sto dedicando. Mi auguro di poter utilizzare l’esperienza che ho maturato finora in un’altra realtà commerciale».
Furono i genitori a dare l’avvio all’impresa, quasi mezzo secolo fa. «Era il 1968, l’anno in cui sono nata io: si può dire di essere stata messa al mondo in negozio», sorride Cecilia. La “bella avventura” iniziò in un altro contesto, una bottega di via San Vigilio in seguito occupata dallo Chalet Ferrari. La madre Anna all’epoca era impiegata alla Zobele, il padre Claudio rappresentante di caffè: venivano entrambi dalla Piana Rotaliana ma si erano stabiliti a Trento da tempo. Decisero di intraprendere un’attività autonoma con entusiasmo e i tempi erano propizi per farlo. «In quel periodo mettersi in proprio era fattibile e permetteva di avere libertà organizzativa e una certa autonomia nella gestione del proprio tempo». Puntarono sull’artigianato italiano (così fu chiamato anche il negozio), andando a cercare in tutta la penisola articoli che a Trento non si trovavano: le ceramiche toscane Deruta e Montelupo, i tappeti, la cesteria e i vasi Cerasarda, ma soprattutto i fiori in seta creati in Lombardia con i quali la signora Anna creava apprezzate decorazioni.
Nel 1972 il trasferimento in via Manci, con la medesima insegna. «Qui nacque anche il reparto dei paralumi, prodotti da mia mamma al piano di sopra per coprire i tempi morti del lavoro in negozio». Sempre dalla stessa mano vennero poi le bomboniere in tulle, confezionate utilizzando il materiale sciolto e gli strumenti che già erano presenti in negozio: passamaneria, stoffa, colla, forbici... L’azienda si ingrandì e furono assunti alcuni dipendenti rimasti poi a lungo in servizio dai Bonapace.
Un nuovo passo avanti venne compiuto nel 1989, con l’ingresso di Cecilia, la figlia maggiore, fresca di Accademia di commercio. «Aprimmo un magazzino all’ingrosso, dove i fiori sintetici diventarono piante, anche di notevoli dimensioni, e iniziarono gli allestimenti per la ristorazione alberghiera», racconta lei stessa. «Il negozio dovette rispondere anche ai cambiamenti del mercato. Si trasformò in artigianato e design, introducendo i prodotti della Accornero, ditta di casalinghi di qualità le cui merci venivano anche dall’estero: Francia, Inghilterra e Spagna». Fu così sperimentato il primo rapporto di franchising, con i suoi vincoli (e relativi vantaggi) di layout, vetrinistica e pubblicità. Il negozio divenne concorrente di realtà storiche del centro come Schönhuber Franchi, Eller, Icas e Nicolodi.
Poi venne l’“era Thun”. Un connubio fortunato e fecondo, che portò il negozio a diventare l’esclusivista del capoluogo. Il resto è storia di ieri e dell’altroieri: la crisi, la concorrenza crescente, gli orari liberalizzati (si veda la dirimpettaia Maison du Monde ora aperta anche il lunedì mattina), i margini che si assottigliano, la fatica anche psicologica di tenere botta... «Hanno inciso stimoli professionali e motivi personali. Pur avendo un immobile nostro e un marchio che funziona, ho deciso che la “scadenza” era arrivata», dice Cecilia. «L’ho capito quando ho cominciato a guardare oltre. E a pensare che il prossimo Natale, dopo 25 anni a correre in negozio, lo avrei passato a casa».