C’è la crisi, i dipendenti vogliono lavorare di più

In Comune a Trento oltre 40 dipendenti hanno chiesto di passare da part-time a tempo pieno. Stipendi fermi da anni, si cerca un’integrazione del reddito


di Chiara Bert


TRENTO. Siamo abituati a pensare alle donne lavoratrici che diventano madri e chiedono il part-time, o almeno si aggrappano alla speranza di ottenerlo. Spesso combattono, qualche volta - poco nel privato, più facilmente nel pubblico - ci riescono. Ma questa volta la tendenza si muove al contrario, e per questo colpisce. Al Comune di Trento nel 2012 sono stati più di 40 - nella stragrande maggioranza dei casi donne, non serve quasi dirlo - i dipendenti che hanno chiesto di tornare all’orario pieno, o per lo meno di aumentare le ore di ufficio. Un quinto sul totale dei dipendenti part-time a tempo indeterminato.

Un trend controcorrente che per numeri non ha precedenti in Comune. E che non poteva essere spiegato, proprio per la sua consistenza, solo con un concomitante ritorno al lavoro dopo la maternità di decine di dipendenti. Infatti nelle motivazioni che l’amministrazione a richiesto a giustificazione della domanda, la risposta che ricorre è: «Gentile amministrazione, chiedo di poter tornare a lavorare di più per guadagnare di più».

In alcuni casi sono effettivamente cambiate le esigenze familiari, il bambino è cresciuto e va a scuola, non c’è più il genitore anziano da accudire. Ma spesso - molto spesso - è una questione di bilancio familiare. Da anni lo stipendio dei dipendenti pubblici è fermo, bloccato dalle manovre statali per ripianare il debito pubblico, e se ti ritrovi con un lavoro a metà tempo significa che in casa entrano poche centinaia di euro al mese. Per qualcuno la crisi ha colpito duro: è capitato che il coniuge abbia perso il lavoro, o sia rimasto qualche mese in cassa integrazione, e far quadrare i conti - se hai i figli a cui pensare - diventa improvvisamente un’impresa impossibile.

E allora arriva la richiesta a cui in molte non avevano pensato prima: tornare a lavorare più ore, anche se il part-time era comodo per conciliare famiglia e lavoro. Ma nelle nuove condizioni è meglio rinunciarci e portare a casa uno stipendio più alto.

Nel 2012 a compilare la richiesta sono stati più di 40 dipendenti. Non tutti hanno chiesto di tornare a orario pieno, le 36 ore; qualcuno ha proposto di aumentare il proprio orario. In Comune negli anni sono state introdotte diverse gradazioni di part-time: da quello minimo a 18 ore, alle 27 ore (con un rientro pomeridiano in settimana) fino alle 30 ore (due rientri). Dalle 100 del 1998, in 14 anni a palazzo Thun le persone impiegate a tempo parziale sono triplicato: oggi sono 310 (tra contratti indeterminati e temporanei)su un totale di 1560 dipendenti.

«Accogliere le richieste di aumento dell’orario di lavoro - spiega il sindaco Alessandro Andreatta - per il Comune ha significato nel 2012 un costo aggiuntivo pari a 12 unità in più. Non è poco in una fase in cui cerchiamo il più possibile di non sostituire il personale che va in pensione per risparmiare (in 5 anni i dipendenti sono calati di una settantina di unità, ndr) e non sappiamo se riusciremo a garantirlo anche per il 2013. Ma la nostra è stata una valutazione che ha tenuto conto dell’impatto della crisi economica su molte famiglie. Per i dipendenti pubblici l’erosione del potere d’acquisto è legata anche agli stipendi bloccati da anni». Ma se il Comune ha cercato di dare una risposta alle attese dei propri lavoratori, dall’altra prova a sfruttare la situazione anche a suo vantaggio: utilizzare la (insolita) richiesta di lavorare di più per coprire le esigenze di alcuni servizi.

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