«Aprire un bar? Basta l’autocertificazione». Ma l’iter è un’odissea

Il dirigente dello sportello imprese del Comune: tutto facile Ma l’imprevisto è in agguato e un errore costa una denuncia


di Luca Pianesi


TRENTO. «Aprire un bar o un ristorante a Trento? E' semplicissimo. Basta compilare un modello di autocertificazione e, praticamente in un giorno, si può cominciare l'attività». Il dirigente dello “sportello imprese e cittadini” del Comune di Trento, Paolo Penasa, conosce tutti i segreti per avviare un pubblico esercizio in città. E' per il suo ufficio che passano tutti gli aspiranti baristi e ristoratori del capoluogo perché è lì che ogni procedura burocratica di questo tipo si conclude.

«Oggi l'iter per aprire un locale è rimesso tutto nelle mani del cittadino – spiega il dirigente del Comune – che deve semplicemente compilare un modulo, detto Scia (Segnalazione certificata di inizio attività). Questo è un modello di autocertificazione dove il soggetto specifica di avere un locale idoneo, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, ad ospitare il tipo di esercizio commerciale che vuole aprire. Egli specifica, poi, tutte le sue caratteristiche personali che devono essere conformi alle previsioni di legge secondo quanto evidenziato anche nelle diverse voci dello Scia, e infine ci riporta la documentazione. In quell’occasione dovrà pagare un costo di circa 50 euro ma avrà anche concluso la procedura e dal giorno dopo potrà iniziare a gestire la sua attività».

Un modulo, un solo ufficio di riferimento, delle facili autocertificazioni e il bar è aperto. Burocrazia azzerata, poche carte stampate, soldi sprecati quasi zero «e il Comune - aggiunge Penasa- mette anche a disposizione dei cittadini i suoi tecnici per assisterli nella compilazione dello Scia». Insomma, apparentemente semplicissimo. Ma in realtà le problematiche ci sono ed è lo stesso dirigente dell’ufficio “sportello imprese” a rivelarlo. Sono nascoste negli anfratti della procedura perché la burocrazia non si rivela mai alla fine di un iter, ma nel suo svolgimento.

«Spesso - racconta Penasa - i cittadini non hanno i locali in regola dal punto di vista edilizio e urbanistico. Quindi devono attivare le procedure di adeguamento degli interni o fare il cambio di destinazione d’uso. Per esempio se Tizio è proprietario di un magazzino in città e vuole farci dentro un bar dovrà fare degli interventi edilizi per adeguarlo a esercizio pubblico. Quindi, magari, dovrà costruirvi all’interno un bagno per i clienti. Una volta fatto questo dovrà compilare un’altra Scia, un altro modello di autocertificazione, per il cambio di destinazione d’uso. In questo caso dovrà chiedersi se quella zona, dove sta andando ad aprire il suo locale, è idonea per quel tipo di attività. Per capirlo dovrà recuperare il piano regolatore del Comune e verificare su quello. Fosse in un’area agricola o boschiva avrebbe ulteriori complicazioni ma, in genere, se si trova in città non avrà problemi da questo punto di vista. I guai vengono dopo - prosegue il dirigente dello sportello imprese e cittadini - quando bisogna fare la verifica se ci sono o meno i parcheggi. La legge provinciale, infatti, prevede che ci debba essere un numero standard di posti auto per ogni pubblico esercizio. In alcuni casi possono essere monetizzati. Il barista si comprerà i posteggi che gli servono per legge. Ma spesso non ce ne sono di disponibili e lì subentrano altre problematiche».

Insomma, non proprio tutto liscio come l’olio. E poi ci sono i controlli. L’autocertificazione è comoda e veloce, ma in caso di errata dichiarazione si cade nel penale e nel reato di falso. «Se si sbaglia è un grosso guaio - conclude Penasa - si rischia parecchio. Per questo per la Scia è consigliabile farsi seguire da un tecnico».

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