Alex Schwazer, da eroe a ragazzo abbandonato
Per un atleta ottono anni di squalifica equivalgono all'ergastolo
Alex ha barato. E l’ha ammesso. Poi ha pagato il conto. E s’è rimesso a marciare. Nel mondo reale e in quello dei sogni. Perché chi si mette in marcia lo fa per raggiungere una meta. Per tagliare prima degli altri un traguardo: nel lavoro, sulle strade della vita, nello sport.
Lo ha fatto sotto i riflettori: perché il mondo ha bisogno di polvere e di stelle. Vuole vedere - in un’eterna diretta - l’eroe che vola e l’eroe che crolla. E c’è tutto, nella storia di Schwazer: la fatica; il successo; la bella ragazza che lo ama, che lo protegge (pagando un prezzo altissimo) e che poi sparisce (per scelta?); la gioia e il dolore, in un continuo viaggio di andata e ritorno. Ma c’è soprattutto solitudine, nella parabola troppo breve di Alex, ragazzo messo all’angolo da chi prima l’ha idolatrato e poi scaricato nel fango. Le vittorie hanno sempre molti padri. Le sconfitte sono immancabilmente orfane. Lo sport ti insegna a cadere. Ma anche a rialzarti. Ebbene, quando Alex ha cercato di rialzarsi non c’era praticamente nessuno al suo fianco. E nessuno lo ha davvero difeso o protetto. Perché era comodo farne il re del male: l’unico colpevole; l’unico da condannare. Manco Alex vivesse su un altro pianeta: mela marcia solitaria in un campo di purezza.
Anche ignorando le molte anomalie che hanno accompagnato questa strana inchiesta, qualcuno può anche solo pensare che un atleta che sa di essere nel mirino, con mille occhi piantati su di lui, possa cercare di barare di nuovo? Otto anni di squalifica sono di fatto l’ergastolo, per chi fa l’atleta. Otto anni: come all’uomo che a Pisa ha violentato due bambine. Come al sacerdote condannato per pedofilia a Bari. Come all’ex militare condannato per traffico d’armi... La giustizia sportiva è diversa? Ma questa storia non può finire così. Non si tratta di assolvere Alex a prescindere, come tendono a fare molti tifosi. Si tratta di coltivare il dubbio, di chiedersi dove sia la verità. Da solo contro tutti, Alex non può vincere questa gara. La politica (non solo sportiva) deve cercare la verità - bella o brutta che sia - insieme a lui. Perché la peggior condanna, per Schwazer, è l’oblio.