Addio all’ultima testimone della deportazione del ’39

Si è spenta a 98 anni Vittoria Roner, infermiera del manicomio di Pergine Conobbe Ida Dalser, la moglie trentina (dichiarata pazza) di Mussolini


di Roberto Gerola


PERGINE. Morta nella notte tra mercoledì e giovedì, è stata sepolta ieri a Canezza, Vittoria Roner 98 anni. Vedova da tempo, lascia tre figli. Abitava al di la del Fersina sulla sponda sinistra poco distante dal Mas del Ferar. La sua abitazione era annessa alla falegnameria del marito. Era la memoria storica di due eventi, di due pagine di storia che avevano travalicato i confini non solo trentini, ma nazionali. Sono le “storie” di Ida Dalser (la “Mussolina”) e dei 299 ospiti del manicomio trasferiti in Germania nel 1939. Se poi si aggiunge che la mamma, Maria Facchini di Viarago, antesignana del femminismo lavorava come tipografa nella stamperia de “Il Popolo” al tempo di Cesare Battisti, balza evidente quali testimonianze, Vittoria Roner aveva potuto raccogliere. Fortunatamente le ha anche potute trasmettere prima in un’intervista pubblicata in dicembre 2010 sul periodo della Cassa rurale di Pergine, poi (in parte) su questa pagina, la primavera scorsa.

Se gli eventi relativi al manicomio perginese li ha vissuti in prima persona (era appunto infermiera psichiatrica), Cesare Battisti l’ha conosciuto di riflesso attraverso le parole della mamma. Ci aveva parlato di Ida Dalser. «Non era pazza - ci aveva detto - confermando le molte tesi espresse in proposito - e non era nemmeno riuscita a fuggire da sola legando le lenzuola, come si è fatto credere. Era stata aiutata da alcune mie colleghe; di lei e della sua situazione avevamo compassione».

Qualche mese fa nel corso dell’intervista aveva fatto anche i nomi di queste sue colleghe. Ida Dalser, la donna di Sopramonte “moglie” di Benito Mussolini, che le aveva anche dato un figlio, era stata rinchiusa in manicomio e perseguitata. Ricordava bene la vicenda nonostante l’età. E ricordava quanta sofferenza leggeva negli occhi di quella donna “tradita” e “volutamente dimenticata e con lei anche il figlio che le avevano tolto e le vietavano di vedere. Aveva raccontato dei molti suoi tentativi di comunicare con l’esterno per far conoscere la situazione, le sue delusioni, le sue crisi depressive per vedersi ridotta in quello stato e soprattutto “tradita” «Da un uomo che amava sinceramente, come lei ci confidava spesso». Così ci aveva parlato Vittoria Roner.

Fu lucido anche il racconto dei 299 ospiti finiti in strutture più o meno ospedaliere in Germania. Lei fu una delle accompagnatrici. «Mi pare che li avevamo accompagnati fino a Stoccarda», ci aveva detto, sottolineando come gli unici dubbi dopo oltre 70 anni fosse il nome della città: «Era notte e le stazioni erano tutte precise», ci aveva detto. Ma ricordava perfettamente il terribile viaggio.

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