BOLZANO

Ötzi, i ricercatori ricostruiscono la voce

Al via la ricerca condotta dal reparto di Otorinolaringoiatria del San Maurizio assieme all’Università di Padova



BOLZANO. Che voce aveva Ötzi? È l’ultima curiosità - ma solo in ordine di tempo - cui si propone di dare una risposta la ricerca promossa dall’Ambulatorio di foniatria dell’ospedale San Maurizio, coordinato dal dottor Francesco Avanzini e dal primario del reparto di Otorinolaringoiatria Rolando Füstös. «Quella che potrebbe sembrare un’idea stravagante - spiega il primario - diventerà realtà grazie alla collaborazione con il professor Piero Cosi, coordinatore dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione dell’Istituto nazionale delle ricerche (Cnr) presso l’università di Padova. Il ricercatore è da anni impegnato nell’elaborazione di segnali acustici vocali».

Ma come si fa a ricostruire la voce dell’Uomo di 5 mila anni fa? «Attraverso le scansioni - spiega Füstös - e l’elaborazione delle immagini della Tac eseguita su Ötzi, si è potuto ricavare una determinazione abbastanza attendibile del condotto vocale, ovvero della “cassa armonica”. Successivamente, grazie all’utilizzo di un elaborato software in dotazione presso l’Istituto del professor Cosi, sarà possibile stabilire la distribuzione dell’energia acustica, del suono vocale, in questo caso creato da sintetizzatori vocali».

Così riprodotta in laboratorio la “voce” di Ötzi potrà essere in futuro ascoltata dai visitatori del Museo archeologico. Ma una volta ricostruita, grazie alle più sofisticate tecnologie, la “voce”, in che lingua si esprimerà? «Non lo so ancora - dice ridendo Füstös, sapendo quanto in Alto Adige sia delicato l’aspetto etnico-linguistico - se i visitatori lo sentiranno parlare in italiano, tedesco o gaelico». Le ricerche. Il È curioso di vedere i risultati della ricerca il professor Eduard Egarter-Vigl che, assieme alla dottoressa Patrizia Pernter, in questi anni ha condotto e coordinato una serie di studi sull’Uomo dei ghiacci.

«Ötzi - dice Egardter-Vigl - a 25 anni dalla scoperta sul ghiacciaio del Similaun continua a riservarci nuove interessanti sorprese. Grazie alla fantasia e alla curiosità dei ricercatori e alle nuove tecnologie». Per gli studiosi di tutto il mondo l’Uomo del Similaun è una miniera inesauribile di informazioni. Di poche settimane fa la notizia che il gene di Ötzi sarebbe arrivato fino alle popolazioni dei giorni nostri.

Questa la conclusione cui è giunto uno studio condotto dall’Eurac sul suo cromosoma Y. Secondo i ricercatori il codice genetico della madre si sarebbe esaurito con alcune popolazioni delle Alpi che non sarebbero più cresciute demograficamente. Quello del papà, al contrario, sarebbe invece ancora presente negli uomini di oggi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, partiva dall'analisi del dna dell'Helicobacter pylori che altro non è che un batterio estratto dallo stomaco di Ötzi e che aveva portato i ricercatori a dire che aveva la gastrite. Lo stomaco. Ai problemi di stomaco si aggiungevano i guai ai denti.

Nel 2014 i ricercatori dell’Eurac assieme ai colleghi dell’università di Vienna, analizzando un microscopico campione di appena 0,1 grammi prelevato dall'osso pelvico della mummia, avevano trovato traccia del batterio Treponema denticola, responsabile della paradentosi. Grazie al sequenziamento del genoma, si è riusciti ad elaborare anche una sorta di identikit: aveva gli occhi castani, faceva il pastore ed era intollerante al lattosio. Più di una le ricerche dedicate ai tatuaggi trovati sul corpo: sono in tutto 61, suddivisi in 19 gruppi. Non si tratterebbe di elementi ornamentali o religiosi, ma di tatuaggi con scopi terapeutici.

E per quanto riguarda il cibo? Secondo una ricerca pubblicata dal National Geographic nel 2011, negli ultimi giorni di vita ha mangiato carne di stambecco e di cervo, accompagnata da un cibo simile al pane e da verdure. La fine. Sarebbe morto a 45-46 anni colpito da una freccia che lo ha raggiunto ad una spalla. La freccia sarebbe stata prodotta sui Monti Lessini, vicino Verona. Questo aveva stabilito il geoarcheologo austriaco, Alexander Binsteiner, che aveva confrontato la punta di selce con migliaia di altre ritrovate in varie zone d'Europa. Lunga 2,8 centimetri, è stata lavorata - aveva sostenuto lo scienziato - con una tecnica usata cinquemila anni fa sui Monti Lessini appunto e attribuibile alla cultura di Remedello. Per una strana coincidenza anche la lama di selce del pugnale di Ötzi proviene da lì. Ma non è escluso che nei prossimi anni nuove scoperte sulla vita e sulla fine della famosa mummia, possano portare i ricercatori a conclusioni diverse da quelle di oggi.













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