LA PROTESTA

Rovereto. Dal 2016 stipati nei container: i profughi chiedono condizioni migliori e prospettive

«Siamo qui da due anni. Al freddo e in condizioni da bestie. Senza sapere nemmeno quando finirà»; questo il malessere sfociato nella protesta di ieri, 3 gennaio, presso il centro di Marco a Rovereto. 

 



ROVERETO. Un centinaio dei 234 profughi ospiti al campo di Marco ieri mattina ha bloccato i cancelli, impedendo agli operatori (di notte resta solo un presidio di guardia) di entrare. In pochi, ingenui cartelli le ragioni di un malessere diventato insopportabile: «Basta trattare male», «Noi siamo stanchi dobbiamo andare non abbiamo parole non dire delle bugie» e, forse il più efficace di tutti: «Siamo uguale».

A far capire bene la loro disperazione, però, è la "visita" ai loro alloggi. Una doppia fila di container. In uno ci sono i servizi: docce e turche. L’acqua calda c’è ma l’impianto è debole: due docce, poi bisogna aspettare. Negli altri letti a castello di legno. Ovunque stracci e coperte appesi in qualche modo per creare un minimo di privacy.

In ogni container, allineati in due file, vivono dai 12 ai 14 ragazzi. Tutti tra i 20 e 30 anni, arrivati dall’Africa via Lampedusa. Dal barcone al centro di accoglienza sull’isola, da là al Trentino e al centro Fersina, poi da lì a Marco. Si sono fermati qua. È lo stesso La Spada di Cinformi a chiarire da quanto. Per la “seconda accoglienza”, cioè la sistemazione in abitazioni vere, si segue la lista di arrivo. Le donne con bambini hanno la precedenza, ma a Marco sono tutti giovani maschi. E la lista “ordinaria”, la loro, ad oggi si è fermata a chi è arrivato nel giugno 2016. Quindi sono tutti a Marco dal luglio 2016. È il loro secondo inverno qua.

Il freddo si sente. Se ne lamentano, come si lamentano del cibo («mangiare male»), dell’acqua («bere da rubinetti dei cessi»), di quelle che vivono come vessazioni: «Da sei mesi non mi danno nemmeno un euro perché ho fatto una lite. Non posso nemmeno fumare. Non posso fare niente».

Ma il problema verò è l’assuluta carenza di prospettive e di certezze. Davanti ai cancelli ieri mattina gridavano a slogan due parole: «Basta» e «Libertà». Si spiegano benissimo da sole e da sole spiegano come si sentano: reclusi ed esasperati dall’assenza di certezze. Ridotti ad una vita che non è vita ma attesa. 













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