Morti per amianto, una nuova perizia
Il caso dei due dipendenti della Rheem Radi stroncati da mesotelioma, la Corte d’Appello di Trento vuole fare chiarezza
ROVERETO. Con una decisione inattesa, la Corte d’Appello di Trento ha riaperto l’istruttoria sul caso dei due dipendenti della Rheem Radi morti a causa dell’amianto. Gli imputati sono i tre amministratori delegati che si sono succeduti ai vertici dell’azienda negli anni in cui si suppone sia potuto avvenire la contaminazione. In dettaglio, Valerio Fedeli (responsabile per sette mesi), Francesco D’Angelo (tre anni al vertice)e Francesco Merloni (quatto anni da amministratore dell’azienda. La vicenda è nota e ha fatto già molto discutere: i due operai della Rheem Radi, l’ormai chiusa fabbrica di scaldabagni, si sono ammalati di mesotelioma, una patologia riconducibile in via esclusiva alla contaminazione con fibre di amianto. Francesco Fasanelli è morto nel 2010, Innocente Cappelletti tre anni prima. Entrambi avevano lavorato a lungo alla Rheem Radi, maneggiando guarnizioni in amianto (per montarle sugli scaldabagni) senza alcun presidio preventivo: non indossavano né mascherine per evitare l’inalazione delle letali fibre né altri dispositivi a tutela della salute, per di più in un periodo in cui la correlazione tra mesotelioma e amianto era già acclarata da un punto di vista medico-scientifico. Mentre nessuno pare mettere in dubbio né la causa della morte dei due dipendenti né il rapporto di causalità con le mansioni a loro assegnate in azienda, tutto cambia quando si tratta di arrivare a conclusioni di tipo penale, dove l’accusa deve essere dimostrata dati alla mano, con elementi certi. E di certezze non ce ne sono, in quanto in primo grado (circa due anni fa) non pareva possibile definire le singole responsabilità penali, mancandone il presupposto teorico. In sostanza, se non è possibile collocare nel tempo il momento della contaminazione, non è possibile ascriverla con certezza a nessuno degli imputati, pena grossolani errori giudiziari. Ma sia l’accusa che le parti civili hanno osservato come negli ultimi anni non solo la letteratura scientifica, ma anche la giurisprudenza, abbiano compiuto notevoli passi in avanti. La prima sentenza si basava su una serie di valutazioni, espresse anche dal perito ordinato dal giudice di primo grado, il professor Claudio Bianchi, il quale aveva adottato la teoria più consolidata fino a quel momento, quella della cosiddetta “dose killer”: in sostanza, ciò che fa testo è la prima contaminazione, dopo la quale trascorre un periodo di latenza di circa vent’anni prima che la malattia si manifesti. Da lì in poi, anche successive esposizioni all’amianto risulterebbero ininfluenti. A questo punto però diventa difficile – se non impossibile – stabilire di chi sia la responsabilità, essendosi succeduti tre diversi amministratori delegati nel periodo di lavoro delle vittime. Nel 2015 però medici, esperti e specialisti internazionali riunitisi nella Conferenza di Helsinki hanno stabilito sulla base di evidenze cliniche che, al contrario di quanto si supponeva, esposizioni successive alla prima contaminazione svolgono il ruolo di acceleratore del mesotelioma. È la teoria della “dose correlata”, presa per buona da una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione lo scorso febbraio. Su questa base l’accusa e le parti civili si erano associate nel richiedere un’ulteriore perizia che aveva lo scopo di stabilire il periodo durante il quale i lavoratori sono stati esposti all’amianto. La Corte, presieduta dal giudice Luciano Spina, ha rinviato l’udienza alle 16. Tutti si attendevano una sentenza, con una probabile assoluzione. Invece la Corte ha stabilito di ordinare una nuova perizia alla luce degli elementi emersi. Il 20 giugno il perito giurerà in tribunale, poi verrà stabilito un periodo massimo per la consegna della relazione nelle mani del giudice. Sembra un passaggio formale, ma in realtà nasconde molta sostanza: la Corte con questo passaggio ulteriore rimette in discussione gli assunti scientifici da cui era partita la perizia del professor Bianchi.
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