Una zona pastorale unica da Civezzano al Primiero
L’arcivescovo Tisi presenta a la nuova organizzazione diocesana che sostituirà i decanati: un territorio di 100 mila abitanti in cui oggi i parroci sono appena 17
PERGINE. Non più decanati ma solo una grande zona pastorale (con un vicario e un consiglio) che va da Civezzano e il Pinetano fino al Primiero passando per Valle dei Mocheni, Vigolana, Folgaria, Luserna e Lavarone, e naturalmente la Valsugana con il Tesino. Quasi 100 mila abitanti. Ma anche solo 17 parroci e 38 collaboratori con una media di oltre 75 anni di età. Questa la drammatica (per certi versi) situazione della chiesa in una “zona” tra le più grandi del Trentino, che ieri mattina in teatro a Pergine è stata al centro dell’assemblea pastorale (la seconda dopo quella a Dro) che monsignor Lauro Tisi ha presieduto. Ad ascoltarlo una sala affollata di 500 persone tra sacerdoti, suore, collaboratori laici provenienti appunto dalla “zona” citata (anche alcune suore di clausura di Tonadico, dispensate per l’occasione). Problemi organizzativi quindi, ma anche di argomenti di fede nelle considerazioni espresse dal vescovo: considerazioni «provocatorie», come il presule le ha definite, per una Chiesa che deve cambiare.
Monsignor Tisi era affiancato da don Antonio Brugnara, parroco di Pergine che ha ricevuto l’incarico di vicario della zona pastorale. La “zona” avrà un consiglio («fatelo come volete», ha detto) che comprenderà i delegati nel consiglio diocesano in modo che la Diocesi potrà dialogare con la “zona”. «La zona pastorale è nata per pensare cose nuove, azione nuove. Molte volte mi si chiede “come la pensa il vescovo?” e io rispondo: “La penso come voi, perché sono uno di voi». Tisi ha anche sottolineato il fatto che non esistono più i parroci di un tempo ma i coadiutori della pastorale: «Il parroco trentino appunto d’un tempo era colui che conosceva tutti e tutto e sapeva rispondere alla più classica delle domande: “Chi è quello lì?”. Questo stato di cose è finito e la comunità non potrà più essere legata al campanile ma al Vangelo. La fede non si misura più sulla frequenza alla messa, alla struttura della parrocchia, o dell’oratorio o delle altre attività del settore. È sbagliato considerarla in quest’ottica. Occorre ripensare il ruolo del presbitero e del laico. Purtroppo, quando i laici ci suggerivano di modificare il loro ruolo, siamo stati sordi, lì abbiamo zittiti. Invece, adesso, dobbiamo dire “ci credo” tutti insieme; dobbiamo intraprendere un cammino insieme, sacerdoti e laici, altrimenti al mio successore fra vent’anni (e qui si sono registrati caldi applausi in sala, ndr) consegnerò le chiavi di un museo con i riti e le azioni di sempre. Invece occorre un gruppo di uomini del cambiamento, persone che si emozionano di fronte a Gesù di Nazareth e quindi alla fraternità cristiana. Intesa non come “ma sì andiamo d’accordo”, ma nel senso cristiano».
Alle considerazioni circa una nuova chiesa, monsignor Tisi era giunto smentendo i contenuti di un recente libro dove si scriveva di una gioventù d’oggi che è «incredula», cioè non crede: «C’è invece una sorta di credo fai da te - ha detto - un’ansia di ricerca di affidarsi a qualcosa o a qualcuno, a una dipendenza (anche al bere, al gioco, alla droga) motivata dalla necessità di credere in qualcosa. L’ateismo degli anni ’70 è finito, a favore della spasmodica ricerca di appartenenza».
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