"Mia mamma è morta in ospedale, da sola"
"Ricoverata per una caduta, poi trovata positiva. In 10 giorni non ci hanno mai contattati"
BOLZANO. È un pugno nello stomaco questa lettera arrivata ieri in redazione. Il dolore di una figlia per la mamma morta in ospedale, da sola.
«Mia madre è spirata in ospedale, da sola. Aveva 96 anni, non si può chiedere di vivere in eterno, ma una morte dignitosa sì, quella se la meritava. L’ho portata al Pronto Soccorso due settimane fa per una caduta. Hanno fatto il tampone anche a me per permettermi di starle accanto, poi l’hanno ricoverata e non l’abbiamo più vista per 10 giorni. Mi hanno avvisato che sarebbe uscita a breve, poi invece no, “Sua madre ha la febbre e risulta positiva al Covid.” Le poche volte che sono riuscita a parlare con qualche medico o infermiere, ho chiesto se qualcuno potesse avvicinarle il telefono perché volevo dirle una parola di conforto. Me lo hanno promesso varie volte, ma nessuno lo ha fatto. Nessuno ha mai risposto al suo cellulare. Nessuno mi ha mai chiamato per farmi parlare con lei. Stanca di aspettare, stamattina ho chiamato in reparto e ho chiesto ad un’infermiera di farmi questo favore, e lei lo ha fatto, anche se “non era l’orario”. Mia mamma non parlava più ormai, ma finalmente sono riuscita a dirle due parole di coraggio, il tanto bene che le voglio. Poi è spirata. Come è possibile che in questo mondo così tecnologico non ci sia alcun modo di stare accanto ai propri cari durante la malattia? Un minuto per concedere una telefonata a chi non è in grado nemmeno di afferrare il telefono, cosa costa? Perché bisogna lasciarli morire da soli? Questa lettera è per dare voce alle persone abbandonate nei reparti degli ospedali, separati a forza dai loro cari, lasciati morire da soli come nessuno si merita di morire. È per i parenti, come noi 5 figli, costretti ad abbandonare la loro madre nemmeno si sa dove, per giorni in attesa che squilli il telefono con la speranza di avere qualche notizia. Capisco il periodo, lo stress, il caos che regna, ma l’umanità dove è andata a finire?» Ada Girardi