Quel memorabile sciopero a Lavis
A metterlo in atto furono le 225 operaie della Filanda Tambosi
LAVIS. Nel Tirolo storico di lingua italiana, quindi in provincia di Trento, furono le prime donne a fermare i telai, ad incrociare le braccia per chiedere con forza di lavorare meno. Di non sfiancarsi come era successo fino ad allora. Era il primo maggio del 1890 e le 225 operaie della filanda di Lavis scioperarono per un’intera settimana lasciando vuoto il grande edificio (ora sede di una banca) che i documenti scrivono essere stato di proprietà di tal Carlo Viero, poi dei fratelli Lanfranchi e in quel momento di Luigi Tambosi. Dopo tempo ottennero una riduzione d’orario. Non quella richiesta, da 13 a 10 ore al giorno, ma solo sessanta minuti di meno. E comunque quelle operaie, le “suffragette” lavisane, batterono sul tempo le colleghe viennesi che solo tre anni dopo scesero in piazza.
Pagine di storia che riemergono da vecchi giornali dell’epoca e che ora vengono portate sul palco, in un monologo teatrale allestito dalla “Compagnia della burrasca”, costituitasi un paio d’anni fa, che fa capo all’associazione culturale Lavisana. Dopo la prima a Lavis, “Una Mina: bandiere di seta” arriva nel capoluogo, a Trento, questa sera alle 20.30 alla Bookique di via Torre d’Augusto. Sul palco, a dar corpo a Mina, l’operaia, Maria Vittoria Barrella, 26 anni, origini napoletane, cresciuta a Trento, attrice teatrale e cinematografica. A lei il compito di materializzare, dandogli voce a tono, a rivendicazioni antiche ma che hanno più di un addentellato con questi nostri tempi contemporanei dove tanti diritti conquistati paiono ormai carta straccia.
Dietro il monologo, il lavoro di scavo e ricerca di Andrea Casna, laureato in storia nel capoluogo, collaboratore del Museo della guerra di Rovereto. “È uno spaccato di storia locale – afferma – un esempio di teatro sociale al quale lavoro dal 2009 sfogliando, leggendo e studiando i giornali del tempo”. Articoli e servizi condensati e adattati dal trattamento drammaturgico di Renato Barrella, regista del monologo, accompagnati dalla musica dal vivo di Luca Porcelluzzi e dal visual design curato dallo Studio d’Arte Andromeda. Il giornalista de “Il Popolo Trentino” scriveva in una sua corrispondenza: “Stamane si posero in sciopero tutte le operaie della filanda Tambosi facendo degli assembramenti nei pressi della filanda per impedire che le timide, pentendosi del passo fatto, si recassero al lavoro. Lo sciopero dura ancora, né è mia cognizione che siasi venuti ad un compimento. Un altro “foglio” dell’epoca, “La Famiglia Cristiana”, annotava, con piglio “confindustriale”, a sciopero in via di esaurimento: “Dopo lungo tergiversare finalmente pare finisca. Ieri sera fu convenuto di riaprire mercoledì prossimo la filanda, la quale è chiusa dal primo maggio, e si pattuì di continuare almeno per intanto con 13 ore di lavoro”. Altri tempi, certo. Ma, forse, neanche tanto.