Dieci anni di rock e concerti In cantiere il nuovo album
Viaggio tra i gruppi musicali. Il frontman e chitarrista Giacomo Oberti ci fa conoscere la band che canta in inglese e ha suonato in tutta Europa. Con la scoperta delle colonne sonore
Alto garda. Il loro nome deriva da un brano dei Clash risalente a un album del 1980. Sulla scena altogardesana “girano” ormai da oltre dieci anni e, pur avendo nel tempo cambiato formazione e sonorità, qualcosa, in quel nome creato per caso, ha portato loro sufficiente fortuna da non volerlo abbandonare. Sono “The Bankrobber”, e di passato e futuro, di estero e Busa, parliamo con il loro cantante e chitarrista Giacomo Oberti (a cui daremo del “tu”).
Il nome non è cambiato, voi sì. Quanti siete oggi?
“The Bankrobber” è stata una scelta impulsiva, ma che ancora oggi sento – e sentiamo – affine, suona bene, sta bene, ci rappresenta bene. Oggi la band è composta, oltre che da me, da mia sorella Maddalena, altra voce e tastierista, da Andrea Villani, bassista, e da Neri Bandinelli, batterista. E’ una formazione che funziona. Basti pensare che proprio ora abbiamo in cantiere un nuovo album.
Ti va di parlarcene?
Certo. Non ha ancora un titolo, ma è nato molto spontaneamente l’estate scorsa. Eravamo appena tornati da un tour europeo e, per l’adrenalina del momento, Maddalena ed io, che in genere siamo coloro che scrivono i brani, ci siamo ritrovati a buttare giù quasi 30 pezzi in un mese. Praticamente uno al giorno. Non tutto era oro: abbiamo poi selezionato molto, anche perché il risultato a cui ambiamo è un progetto coerente anche da un punto di vista delle sonorità. La quarantena, non vivendo insieme, ci ha un po’ frenato in questo processo, quindi possiamo sperare a un prodotto finito solo per l’inverno prossimo. Però ci siamo dedicati ad altro…
A cosa?
Alle colonne sonore. Per la prima volta ci siamo cimentati in questo diverso modo di fare musica. Jordi Penner, nostro amico, ci ha infatti chiesto alcuni brani per un suo cortometraggio “Amore cane” e nelle settimane di lockdown ci siamo buttati a capofitto in questo. Io personalmente ho inoltre perfezionato e dato la spinta definitiva alla mia etichetta discografica, la “Wires Records”.
Ma prima accennavi a un tour europeo. Dove avete avuto modo di portare la vostra musica?
Un po’ dappertutto, da Londra e dintorni, alla Spagna e il Portogallo, passando per Olanda, Belgio, Repubblica Ceca… Suonare in inglese – una scelta che abbiamo consapevolmente preso nel 2015 – ci ha sicuramente favorito e aiutato molto nell’espandere il nostro “raggio d’azione”.
E avendo girato molto, cosa pensate allora dell’Alto Garda, da cui siete partiti?
Qui ci sono moltissimi progetti interessanti, in termini di chi “fa la musica”, ovvero cantanti, musicisti, band. Mancano gli spazi dove farla, però. E non parlo di palchi e club super attrezzati e di grande qualità, o meglio, non solo. Noi ci siamo trovati a suonare anche in posti meno perfetti ma che avevano comunque una programmazione costante e ci credevano, nel bello del live. E non ti sto parlando solo di grandi città. Tutto sta nella volontà.