Se il telefonino fa più paura del motorino
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando noi quarantenni facevamo il primo ingresso nel mondo dei grandi in sella a un motorino. E ora ci ritroviamo con i figli che pretendono - invece - un telefonino. Pare impossibile, ma a metà degli anni Ottanta ricordo una “spedizione” estiva a Caldonazzo con gli amici del nuoto, tutti a bordo dei nostri cinquantini. Avevamo quindici anni. Venni ovviamente sgridato, ma non perché al ritorno ci infilammo nella temibile galleria dei Crozi (che probabilmente in quegli anni era ancora a canna unica) ma perché all’andata eravamo saliti da Vigolo Vattaro: «Il motorino è in rodaggio - disse mio padre - non era il caso di fare quella salita». Erano anni così. E il mondo di noi ragazzi si divideva in due: quelli che avevano il motorino e gli altri. Che nelle periferie di Trento (quando non c’erano i vigili di quartiere) salivano sul sellino posteriore.
Ora i ragazzi, in realtà ben prima dei 14 anni, sono sempre divisi in due: quelli che hanno il telefonino e quelli che non ce l’hanno. Con i genitori che si interrogano. Ma può un telefonino creare ansia quanto il motorino di una volta? Andate a chiederlo all’ispettore della polizia postale Mauro Berti, che l’altra sera ha parlato di “cyberbullismo” nell’aula magna delle scuole Manzoni. E vi racconterà storie inquietanti di ragazzini disperatamente soli (nonostante il telefonino segni “quattro tacche” e l’applicazione Facebook quattrocento amici) che vivono drammi sconosciuti a noi adulti.
Racconta l’ispettore che la prima prova d’amore ai nostri tempi può essere una fotografia inviata su “whatsapp”. Ma se questa “prova d’amore” viene affidata alla persona sbagliata (e finisce rilanciata di telefonino in telefonino) allora sono guai. Una ragazza in una situazione del genere può anche pensare di buttarsi giù dal cavalcavia per l’umiliazione. Conclude l’ispettore: «Mai visto un tentativo di suicidio per il bullismo. Per il cyberbullismo invece sì».
Con il nostro motorino (l’angoscia dei nostri genitori) potevamo andare a fare il bagno a Caldonazzo. Era consentito mettersi in viaggio senza nemmeno la patente, ma prima di darci la chiave i nostri genitori si preoccupavano di insegnarci i segnali stradali e ovviamente le regole fondamentali di prudenza. Le strade erano (molto) meno pericolose di oggi, ma ugualmente qualcuno - come il sottoscritto, più volte - finiva all’ospedale. Ora i nostri ragazzi passano ore nella loro stanza, dove li crediamo al sicuro. Ma con uno smartphone si può andare molto più lontano che con un ciclomotore. Chi darebbe le chiavi di un motorino a un ragazzino che non sa nemmeno la differenza che passa tra un senso unico e un divieto? Però il telefonino glielo diamo. Ecco perché uno smartphone - senza casco e senza patente - può fare (molta) più paura del vecchio cinquantino.