Le grandi firme e il loro 11 ideale / Giorgio Porrà
L’undici ideale oggi è quello di Giorgio Porrà. Maestro riconosciuto nell’incontro fra calcio e letteratura, pallone e poesia, storia e storie. Ci piace chiamarlo “periodista vertical”. Scorrere la sua formazione del cuore per capire.
1. Giuseppe Moro. “Il prototipo del portiere folle, spregiudicato, maledetto. Giuseppe Moro, detto Bepi, trevigiano, incendiò il calcio italiano negli anni 40/50, non vinse nulla ma elevò ad arte il suo istinto acrobatico, il riflesso felino, il colpo d’occhio. Una storia poco raccontata, perfetta per esaltare l’epica del ruolo, il fascino letterario. Finì in miseria, dimenticato. Portieri. Per dirla alla Galeano “martiri, penitenti, solitari”.
2. Mario Martiradonna. “Nel Cagliari dello scudetto del ’70 c’era Riva e c’era Martiradonna, cagnaccio francobollatore, faccia improbabile quanto il cognome, talento in modesta quantità ma feroce cocciutaggine. Partecipò attivamente all’ impresa rossoblù, impose la museruola agli attaccanti più forti, si cucì sul petto quel tricolore che rappresentò il riscatto di “una squadra considerata una banda di extracomunitari” (Riva dixit)”.
3. Carlos Monzon. “Carlos Monzon, l’indio che atterrò il mondo. Il picchiatore di Santa Fe, il giustiziere di Nino Benvenuti che si rivelò vulnerabile solo davanti al destino, il suo, che gli capovolse la vita, da pugile invincibile a spietato assassino, con l’omicidio della moglie a spalancargli le porte del carcere. Quando si schiantò in auto, da carcerato in permesso, ci fu chi scrisse: “la pena per Monzon non fu la morte, Carlos era rassegnato a morire anche prima di vivere”.
4. Pier Paolo Pasolini. “Una foto. Pier Paolo Pasolini seduto sulla panca di uno spogliatoio. Solo, ossuto, a torso nudo, calzettoni tirati all’insù. Si allaccia gli scarpini, lancia un sorrisetto di sfida. “Stuka” (il suo nomignolo da campetto) sta per divorarsi la fascia, in testa un’idea sola, riprodurre il numero del suo idolo, il “doppio passo” alla Biavati. Per Pasolini il calcio era una delle tre cose per le quali val la pena vivere. Forse anche più delle altre, eros e letteratura”.
5. Johan Cruyff. “Rivoluzione totale. Il massimo, sul prato, in panchina. Anticipatore e progressista, figlio dei fiori e lucido manager, centravanti e terzino, non esiste ruolo che non abbia ricoperto con successo, rompendo e riscrivendo le regole. Sempre nel nome della bellezza, per lui nulla ha contato più dell’immaginazione al potere, lo ha fatto col 14 sulle spalle. Faro di quel calcio libero, socialista, di ’68 in salsa olandese, che insiste nell’ispirare tutte le avanguardie contemporanee”.
6. Gianmaria Volonté. “Il più grande attore di sempre. Artista totale, mimetico, una formidabile potenza espressiva e una funzione politica del proprio ruolo ormai estinta. Al di là del talento smisurato, è stata questa la sua vera diversità, la granitica coerenza nel considerare il cinema strumento di cambiamento, di ribellione, atto politico. Amava profondamente la Sardegna, riposa alla Maddalena con i versi di Paul Valery incisi sulla piccola lapide: “Si alza il vento, bisogna tentar di vivere”.
7. Gigi Meroni. “Quando essere diversi sul serio, significava essere esclusi o comunque guardati con sospetto. Accadeva nel calcio italiano degli anni ’60, che il capellone Meroni si divertì ad affrescare con dirompente creatività. Diventò, a sua insaputa, l’icona italiana della beat generation, primo calciatore popstar, gemello comasco di George Best, senza gli eccessi dell’irlandese. Dissolvendosi come un sogno, in quell’assurdo incidente, ha lasciato orfano l’immaginario di chi ne mitizza l’insopprimibile desiderio di libertà”.
8. Philippe Petit. “Il signore che più di quarant’anni fa sbalordì il mondo camminando su una fune d’acciaio stesa tra le Torri Gemelle a 400 metri d’altezza. Ci spiegò, nella maniera più spericolata possibile, che il talento ha sempre una dimensione folle e trasgressiva, per innescarlo occorre sognare e mettersi in gioco senza paura. QPerché “la creatività è fondamentale quanto il pane e l’acqua”. Val la pena dargli retta”.
9. Eduardo Galeano. “Di Maradona positivo all’antidoping nel Mondiale ’94 scrisse: “Giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto”. Un esempio del suo stile inimitabile. Scrittore in lotta perenne con dittatori e usurpatori, capace di raccontare con la stessa efficacia i 500 anni di sfruttamento, di schiavitù cui i colonizzatori sottoposero l’America Latina e la storia del calcio, affollata di giganti e figuranti, specchiandosi, tra gli eroi moderni, nel solo Messi. Leggerlo serve a non smettere di coltivare ideali e aspirazioni”.
10. Paolo Fresu. “Il più grande trombettista vivente, il più spettacolare testimonial della costante resistenziale dei sardi applicata a Samuel Beckett: “Non posso continuare, bisogna continuare, continuerò”. Figlio di un pastore, passa in pochi anni dalla banda del paese ai più prestigiosi palcoscenici del mondo. Musicista generoso, campione di umiltà, viaggiatore instancabile. La sua visione di un mondo in cui si gettano ponti per incontrarsi e scambiare storie, continua a nutrire furiosamente il suo processo creativo”.
11. Gigi Riva. “Hombre vertical. Una dimensione epica, etica, in nessun modo riproducibile. Resta, resterà, il più forte attaccante italiano di tutti i tempi. Il campione più puro, trasversalmente amato. Sinistro ciclonico, esultanza a pugni chiusi, fremiti selvaggi, furori improvvisi, mascella serrata, natura selvatica, fascino antiretorico, parole nette, taglienti. In Sardegna siamo tutti d’accordo, Giggirriva, salvando la sua vita, ha miracolosamente salvato anche la nostra”.
_ _ _
Cagliaritano, innamorato folle della sua Sardegna, classe 1960, Giorgio Porrà è uno dei volti più popolari ed amati del giornalismo sportivo italiano. Firma di punta di Sky Sport ha legato il suo nome a trasmissioni che hanno cambiato il modo di raccontare lo sport: “Lo sciagurato Egidio” , “Profili”, “Italia - Germania 4 a 3”. Grande appassionato di libri ed enciclopedico conoscitore dell’universo letterario conduce su Sky Arte il programma “Booklovers”. E’ autore di un libro, “Adriano Sofri, attaccante estremo”, lo spaccato di un sommerso, quello delle galere, affollato di potenziali Maradona ai quali - dice - nessuno concede un’opportunità. Nell’ottobre di dieci anni fa ha reso pubblica la sua lotta contro un sarcoma al femore: nonostante la malattia e i cicli di chemioterapia non ha mai sospeso l’attività in video. Come riconoscimento al suo contributo alla pubblica consapevolezza sulle malattie apparentemente incurabili, ha ricevuto il premio giornalistico “Giovanni Maria Pace” per la divulgazione scientifica indetto dall'Associazione Italiana di Oncologia Medica.