Il "piacione" Schiavone comincia a fare i conti con il suo passato
Antonio Manzini ha conquistato il grande pubblico con il più classico dei “piacioni”, il vicequestore Rocco Schiavone, bel tenebroso in Clarks e loden, strappato dalla sua Roma – ma non dalla sua romanità – e catapultato dal Ministero dell’Interno ad Aosta. L’esordio con Pista Nera, poi La Costola di Adamo e Non è stagione, uno più fortunato dell’altro: thriller ben congegnati, costruiti giocando tanto attorno ai casi ai quali Schiavone ed i suoi uomini si trovano a lavorare, quanto soprattutto sul passato del particolarissimo commissario, con la perla della dimensione onirica, nella quale Rocco ritrova la scomparsa moglie Marina e, con questa, la sua vera natura. In quest’ottica, Era di maggio costituisce una svolta, perché l’attualità – la morte in carcere di un camorrista legato al rapimento che era stato al centro di Non è stagione, ma anche e soprattutto l’assassinio nell’appartamento dello stesso Schiavone della fidanzata di uno dei fedelissimi romani del poliziotto – traggono origine dal passato, costringendo Rocco a farci i conti, una volta per tutte. Stiano tranquilli gli appassionati, la serie sembra destinata a durare almeno qualche altra puntata. Ma la svolta c’è, perché tra uno stalliere legato alla criminalità organizzata di berlusconiana memoria e un boss che in galera se la passa meglio di Cutolo, al centro della scena finiscono proprio gli affari del vicequestore, anche quelli di cuore.