Expo 2015, chi ha vinto e chi ha perso
Io all'Expo non ci volevo nemmeno andare. Invece, quasi fuori tempo massimo, mi ci hanno portato - quasi di peso... - quelli di Marcialonga, che non hanno perso l'occasione di una presentazione delle loro gare all'ombra dell'albero della vita. Così, ho avuto la conferma di quello che già sapevo: Expo è l'esatto contrario del mio concetto di bello, un non luogo agli antipodi di qualsiasi cosa desti il mio interesse, il reciproco di quanto mi trasmette emozioni, vibrazioni, sensazioni. Infatti, terminato il mio lavoro alla presentazione di Marcialonga, alle 16 - usandomi quasi violenza - ho provato a infilarmi nella calca del decumano per visitare almeno un padiglione, che ne so, quello dell'Angola, la Svizzera, la gettonatissima Austria. Macché: con la durata della coda più breve stimata attorno all'ora e mezza, mi sono allungato fino al "lato corto" dell'Italia, con la sola intenzione non già di visitare il padiglione del nostro Paese - nove ore di coda, stando alle voci diffuse da radio scarpa di Rho - bensì di trovare uno stand dove consumare un drink in attesa della partenza del pullmino che mi avrebbe riportato a Trento.
E qui il racconto si mescola con la critica. Perché snobbare Expo - che, a quanto pare, ha vinto, anzi, stravinto la sua sfida - è un lusso che posso permettermi io, che di mestiere faccio il giornalista, mica l'albergatore, il ristoratore o, peggio ancora, il direttore o il presidente di un'azienda di promozione turistica. Io alla calca del decumano preferisco il centro storico di Treviso, una mostra, un pranzo in perfetta solitudine concluso con un cognac in un bicchiere caldo, magari leggendo sul Manifesto la splendida chiosa alle parole di Raffaele Cantone - una cantonata? - sulla presunta capitale morale Milano firmata da Paolo Berdini, il presidente degli urbanisti che aveva proposto di dislocare i padiglioni dell'Expo in più siti, senza costruire quella che domani rischia di essere una - brutta - cattedrale nel deserto. Io mi posso permettere di entrare ad Expo solo per bere un Hugo in piazzetta Alto Adige, non luogo che i miei concittadini hanno trasformato in uno dei tanti Gasthof del loro beato Suedtirol, scaraffando litri di Lagrein e servendo quintali, tonnellate di Speck e Strudel, deliziando frotte di signorone lombarde, bolognesi, romane, napoletane, "ho provato quello di tutte le pasticcerie del mondo, come lo fanno loro non le fa nessuno".
Io me lo posso permettere, di starmene tre ore seduto in piazzetta Alto Adige a bere Hugo e compulsare lo smartphone, perdendo l'imperdibile occasione di Expo, chi gestisce l'immagine del Trentino - con i suoi albergatori, i suoi ristoratori, i direttori ed i presidenti delle aziende di promozione turistica - no. La sfortuna, per il presidente Rossi, l'assessore Dallapiccola, il direttore Rossini ed i loro collaboratori, è che piazzetta Alto Adige era esattamente di fronte al vuoto pneumatico di Piazzetta Trentino, con le sue (costosissime) Torri del Vajolet finte, un manichino vestito da sciatore e poco, pochissimo altro. E nessuno che se lo filasse, quel nulla. Tra le due piazzette scorreva - si fa per dire, vista l'apparente immobilità - la coda da 9 ore del padiglione Italia, quasi a sottolineare beffardamente le differenti fortune delle due iniziative: da una parte la gioia di proporsi al mondo, dall'altra una testimonianza doverosa, stanca, quasi burocratica; da una parte la gente, quelli capaci di sorbirsi ore di file, il vero spettacolo dell'Expo, dall'altra quelli che, come me, ci sono andati quasi per forza.