9 marzo 1969. Via i simboli fascisti a Bolzano? Sì del consiglio comunale tra insulti e distinguo
Gli 80 anni dell'Alto Adige: 1945 - 2025. Ogni giorno una notizia dal nostro archivio
Marzo 1969: il consiglio comunale di Bolzano vota a stragrande maggioranza (contrari solo missini e monarchici) l’eliminazione dei simboli fascisti in città. La mozione «impegna la giunta a rendersi promotrice di iniziative idonee a rimuovere quei segni esteriori che ancora ricordano il periodo fascista e a nominare una commissione ad hoc». Il voto quasi unanime non deve trarre in inganno: arriva dopo anni e anni di interminabili discussioni sfociate anche in rissa. E, quella stessa sera, viene preceduto da innumerevoli distinguo, precisazioni, “sì, ma”, e attacchi al vetriolo (il missino Edoardo Eritale, reduce della Repubblica sociale italiana, provoca in continuazione i consiglieri della sinistra).
La materia è incandescente. La destra soffia sul fuoco. Per la Svp non è ancora abbastanza. Il convitato di pietra è il Monumento alla Vittoria. C’è chi vorrebbe abbatterlo, chi lo difende a oltranza, chi, salomonicamente, propone di dedicarlo “a tutti i caduti”. Ma è evidente che ci sono anche altri “relitti” nel mirino. Non è un caso che la cronaca della serata sull’Alto Adige sia accompagnata da una foto delle aquile di Ponte Druso.
Arduino Marchioro, partigiano, amico di Emilio Lussu, e consigliere del Psiup, risponde duro a Eritale: «Qui si tratta di distinguere non tra cittadini di lingua italiana e tedesca, ma tra fascisti e antifascisti”, quindi, “si deve fare piazza pulita”. L’Svp Josef Torggler non molla l’osso: «Ok a un monumento a tutti i caduti, ma non vorremmo che i sudtirolesi venissero ricordati sotto quello del duce». Ergo: va raso al suolo e rifatto da zero.
Per il democristiano Vincenzo Amedei: «Non tutti gli elementi sono da eliminare. Il basso rilievo al Palazzo delle finanze può essere lasciato come testimonianza di un fenomeno storico, tanto più che la sua ultimazione risale al 1949. Si tratta insomma di stabilire quali simboli siano da cancellare e quali no». (Amedei vide lungo: il Mussolini a cavallo venne storicizzato nel 2017 con la frase di Hannah Arendt).
L’ultimo monarchico, ovvero Waldimaro Fiorentino avverte: «Abbattere il Monumento alla Vittoria implicherebbe come conseguenza l’opportunità di non mettere più piede in certe chiese come quella di Gries, dove vi sono vicino al crocifisso 22 pugnali della Wehrmacht incrociati con bombe a mano».
Il sindaco Giancarlo Bolognini, nella replica, non nasconde la delusione per tutto quel tira-e-molla. «La volontà di pacificazione più volte proclamata non ha raggiunto completamente il fondo delle coscienze. Certi fatti non sono stati ancora completamente dimenticati, e vi sono ancora preclusioni nazionalistiche».
La commissione, comunque, venne nominata e, negli anni, i “relitti fascisti” vennero tolti qua e là. Non senza qualche decisione discutibile, tipo - nel 1972 - abbattere le quattro aquile imperiali scolpite da Vittorio Morelli (sarebbe bastato togliere i fasci dal basamenti), trasformando ponte Druso in qualcosa di così brutto da non essere degno nemmeno di una zona industriale. E ancora: nel 1988 la demolizione del Cinema Corso, progettato da Armando Ronca. Demolizione decisa dal proprietario Pietro Tosolini, ma che nessuno impedì. (LF)