21 marzo 1955. Val Martello, la tragedia dei minatori
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Un lavoro duro, dove il confine tra vita e morte si gioca sul filo dei secondi. 18 marzo 1955: tragedia sul lavoro, la seconda nel giro di pochi mesi nella miniera della Val Martello, a 1900 metri di quota. Una mina che esplode troppo presto uccide sul colpo il caposquadra Lino Salvador, 33 anni, e il fuochino Antonio Mondin, 31 anni. Ferito, ma non in modo grave, il terzo compagno, Mario Bordin.
L’incidente avviene alle 22:30 in una galleria di avanzamento, una galleria in “costruzione”. Mancavano gli ultimi quaranta metri di roccia da far saltare. Quaranta metri e avevano finito.
Il giornale manda sul posto Bruno Borlandi, che ricostruisce la dinamica. I tre stavano accendendo le micce di una quarantina di fornelli. «Bordin, finito il suo settore, stava per allontanarsi. Gli altri due dovevano ancora innescare una quindicina di micce». Sono nei tempi: hanno sette minuti e trenta secondi per mettersi al riparo. Improvvisa, la detonazione. Salvador e Mondin vengono scaraventati sulle pareti. I corpi sommersi da una pioggia di schegge e detriti. Bordin, investito dall’onda d’urto, crolla a terra svenuto. Restano pochi istanti prima che le altre mine facciano saltare tutto.
Scrive Borlandi: «Alcuni minatori, che si trovavano in posizione di sicurezza e che dovevano entrare in servizio dopo lo scoppio, con uno slancio generoso che rasenta l’eroismo, si sono lanciati all’interno della galleria, incuranti della possibilità che tutte le 40 mine brillassero, seppellendoli. Purtroppo, se il generoso slancio è riuscito a salvare la vita a Mondin, per gli altri due non vi era più nulla da fare. Per la seconda volta, nel giro di sette mesi, siamo tornati quassù a sentire, dalla viva voce di questa dura gente della montagna, come la morte sia calata repentina a stroncare la vita di due loro compagni. Esattamente il 19 settembre del 1954, tre minatori vennero uccisi dallo scoppio di una volata di mina mentre stavano lavorando in una grande cava. Ieri sera, una mina è scoppiata quasi subito. Tutto fa pensare che fosse difettosa: non appena accesa, si è bruciata dando fuoco alla cartuccia di dinamite».
Nella notte, i corpi vengono ricomposti nella baracca adibita a infermeria. Lino Salvador lascia la moglie e tre figli piccoli. Antonio Mondin, la moglie e un bimbo. Lavoravano in miniera da cinque anni. Il giorno dopo, le bare vengono trasportate con un autocarro nella chiesetta di Santa Maria. Sulle casse di legno scuro, due mazzi di garofani messi dai compagni di squadra.
«Per poter comporre nella chiesetta trasformata in camera ardente le due salme, i minatori hanno dovuto aprire un varco fra la neve alta due metri. Per tutta la notte hanno vegliato i due compagni caduti». LF