Teschi di lupo dentro il Duomo di Bressanone
Una testimonanza del 1686 racconta di un fiorire di animali totemici: grifoni, draghi, cani e leoni
BOLZANO. Giovanni Francesco Gemelli Careri, transitando per Bressanone nell’autunno del 1686, annota: sulla porta del palagio Vescovile vidi 29 teschi di lupi. Perché non solo di facce e teste si coprono le chiese. Il male è potente e forte, quasi invincibile per la mentalità medioevale. Ed ecco allora un esercito di animali fiorire sui doccioni, agli angoli delle absidi, sui frontoni. Lupi, draghi, grifoni, orsi, cani, cavalli mortuari, leoni. Sembra quasi che gli animali totemici dei clan galli, celti e germanici siano tornati ad occupare lo spazio che gli spetta: quello di emblemi di forza, aggressività, potenza e autorità. Ultimo exploit prima di finire, depotenziati, come simboli araldici su tombe, stemmi e bandiere, o essere sostituiti dal più tranquillo e ammiccante gallo canterino segnavento, che ci ricorda il tradimento di Pietro e il sorgere del sole (quindi di una speranza rinnovata quotidianamente). È il mondo di là che arriva di qua e lo spettatore entra in una dimensione in cui il ringhio del cane o il ruggito del leone tiene i krampus, gli orchi e l’homo selvadego relegati fuori dalla cinta sacra della chiesa e del cimitero. Loro sono posti a difesa dello spazio sacro, quello in pietra dell’architettura ma anche quello della nostra anima. Se l’interno della chiesa di S. Biagio a Trodena ci accoglie con la “sonorità” delle sculture degli angeli musicanti è perché possono suonare l’immaginaria musica grazie alla protezione affidata, all’esterno, a due robusti e irrequieti orsi, che tengono lontani gli spiriti che scendono dalle miniere della val di Fiemme e i demoni che popolano le foreste del Monte Corno. Il grifone di Lagundo, chiesa di S. Ippolito, è posto nel timpano, assieme ad un unicorno: si deve essere puri per superare la soglia altrimenti ci pensa lui, guardiano demoniaco rivalutato qui in simbolo del Cristo. Lo stesso grifone, un po’ più artistico e plastico, lo troviamo sull’abside del duomo di Trento, in compagnia di basilischi, serpenti che si mordono la coda, leoni e telamoni. Mentre non possiamo dire quale sia l’animale che sporge dal campanile della chiesa di S. Caterina a Roverè della Luna: metà orso e metà lupo, ma quelle enormi orecchie non sappiamo proprio a chi attribuirle. Così come fantasiosi sono gli animali che difendono il portale della cappella romanica di Castel Tirolo.
È questa zoologia umana e animale ornamentale a dirigere il movimento difensivo delle immagini contro il male, a ritmare la varietà della loro presenza per difendere le figure e le pitture interne della chiesa, che raccontano gli episodi dell’Antico e Nuovo Testamento. Una geografia dell’immaginario poco noto, eppure erano queste teste a far sì che il fedele si sentisse al sicuro entro queste mura. In questo grottesco mondo venuto dall’oriente e contaminato dai miti e dai riti nordici, con una sbirciatina al Physiologus, i fedeli vedevano un mondo alla rovescia, un “umanesimo” diverso, dove erano la maschera e l’animale dalle indefinite forme a difendere l’uomo da ciò che temeva e che né cavalieri né preti riuscivano, se non proprio a uccidere, almeno a tener lontano. Tutto questo bestiario, con il rinascimento, non scompare: semplicemente si privatizza. Scende dalle pareti e dai campanili delle chiese e, complice l’intaglio ligneo, diventa soffitto di stube, pannello decorativo di saloni e camere di castelli (Castel Velturno), cassettone come nella camera del municipio di Vipiteno.
Queste immagini, di cui sono ricche le nostre chiese alpestri, ci presentano un mondo bizzarro e fantastico che supera sicuramente l’immaginazione dei nostri tempi.(f.d.)