La scenografa: «In un film ho costruito anche il futuro»
Daniela Cappiello fa questo lavoro da più di dieci anni e lo ama come il primo giorno: «Cambia tutto ad ogni scena»
TRENTO. Lo scenografo è come un ladro, è questa la definizione estremamente realista di un insegnante dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia indirizzo scenografia che colpì in modo particolare Daniela Cappiello: «Mi fece riflettere ed allora mi pareva una definizione inappropriata, ma col tempo ho capito che invece era estremamente veritiera. In effetti il nostro lavoro è proprio così, dobbiamo “rubare” oggetti e emozioni da portare in scena spesso dovendo fare i conti con risorse economiche limitate che ci costringono ad andare dai proprietari dei locali di scena alla ricerca di vecchie cose, oppure a ricordarci dove le avevano viste e portarle via, ovviamente restituendole, ma l’idea del ladro è realistica».
Daniela è nata a Napoli, ma si trasferisce a Trento nel 1993 all’età di 3 anni e nel 2010 a Venezia per frequentare l’Accademia. «È stata una duplice esperienza perché dallo studio sono passata al lavoro grazie ad un colpo di fortuna». Il Teatro La Fenice aveva avviato la collaborazione col Teatro Malibran e così riuscì ad entrare nel gruppo che fece un’esperienza diretta.
Di cosa si occupava?
Di tutto il ciclo di allestimento del palco, però come macchinista di scena e di fatto quella resterà la mia qualifica professionale. Si spaziava dalla carpenteria, alle sculture alla pittura di scena nell’ambito della scenografia lirica.
Non è rimasta?
Dopo tre anni ho preferito tornare Trentino, dove nel 2017 è nata mia figlia Sofia.
È riuscita a rientrare nel mondo del lavoro?
Sì grazie al secondo colpo di fortuna della mia vita che è stato quello di incontrare un vecchio compagno di scuola che non sapevo nemmeno lavorasse nel mio stesso settore. Diciamo che a Venezia ho lavorato grazie alla collaborazione ed a Trento per amicizia. Il nostro è un ambiente molto chiuso e senza quelle due possibilità non sarei mai riuscita ad iniziare.
Le tappe principali?
Teatro di Pergine, Bolzano. Poi ho seguito la stagione lirica della Fondazione Haydn ed attualmente lavoro al Centro Santa Chiara.
In questo ambito com’è la realtà regionale?
A metà: nel senso che manca la produzione e si fa solo tecnica. Il paradosso è che Bolzano quella poca produzione che fa l’appalta fuori regione, una delocalizzazione che davvero non capisco.
A livello personale preferisce lavorare in teatro o nel cinema?
Nel cinema, perché è più rock ‘n roll, meno prevedibile e non è mai chiaro quale sia il filo che separa la realtà dalla finzione. In teatro è chiaramente tutto finzione.
Nel cinema ha lavorato?
Per due lungometraggi che sono stati “Fra due battiti” e “Rispet” ambientato in Val di Cembra. Poi “Windstill”, una produzione tedesca ambientata tra Monaco e la Val Venosta. Poi ho fatto pubblicità sia con Trentino Marketing e con l’agenzia Graffiti di Riva del Garda con una serie di spot per Cisalfa.
Il genere che preferisce?
Lo storico, che richiede una fase preliminare di studio e approfondimento sempre molto interessante. È stata molto coinvolgente un’esperienza nella quale abbiamo dovuto creare un’ambientazione futura e quindi abbiamo improvvisato la realtà.
La realizzazione più originale che meglio spiega la capacità di improvvisare?
In Rispet serviva la carcassa di un capriolo che ovviamente non avevamo. Ho attivato le conoscenze di mio papà ed abbiamo preso una pecora che abbiamo fatto spolpare da un macellaio, poi abbiamo bollito le ossa riuscendo a simulare al meglio il capriolo.
Il suo sogno?
Quello di una realtà di produzione trentina come c’era tempo fa. Ovviamente continuare a lavorare anche se dovrò trovare la giusta compensazione con gli impegni famigliari. Ho due figli e con l’ultima produzione per la quale sono rimasta due mesi sul Lago Maggiore non è stato semplice. Penso che dovrò limitare le ambizioni professionali a favore della famiglia.
Due mesi lontano da casa, ma come ha fatto? Il segreto?
Con mio marito Andrea artigiano rilegatore siamo come i genitori pinguini. Si spieghi. Siamo intercambiabili. Una volta fatte le uova i pinguini le covano alternativamente come a turno vanno a procurarsi da mangiare. Andrea è un supporto fondamentale e abbiamo abituato i nostri bimbi a non dipendere da nessuna delle due figure genitoriali.
Cosa rappresenta per lei l’essere scenografa?
Realizzare la mia indole pragmatica, non mi sento creativa. Poi, dire che sia la sintesi di tutte le mie competenze che contribuiscono in parti uguali ad arrivare al risultato finale. Ma rispecchia anche il mio spirito libero che rifugge dalle abitudini e dalla routine.
L’aspetto che le piace di più?
Il contatto con le persone, che oltre a conoscere, bisogna ascoltare. Prima bisogna capire cosa esattamente vuole il regista, poi bisogna conoscere gli attori e finalmente si va a tracciare il progetto che darà origine alla scenografia che dovrà rispettare le esigenze del testo. Un impegno per il quale lo studio non è l’unica base. Importantissimo, ma solo in parte. Poi ci vuole tanto senso pratico, adattabilità e non bisogna amare la consuetudine: qui si cambia ad ogni scena.
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