il film inchiesta»VITE VIOLATE
Rai Tre lo trasmise nel 2003, in due parti a tarda sera. Da allora mai nessuno lo ha più visto, se non in queste ultime settimane i visitatori della Galleria Civica di Trento, ma attraverso una...
Rai Tre lo trasmise nel 2003, in due parti a tarda sera. Da allora mai nessuno lo ha più visto, se non in queste ultime settimane i visitatori della Galleria Civica di Trento, ma attraverso una fruizione “limitata”, come video d’artista: cioè proiettato su uno schermo e con cuffie. Quella di martedì prossimo 16 ottobre, alle 20.30 alla Galleria Civica, è dunque un’occasione unica per conoscere un’opera straordinaria: si tratta del documentario Vite violate della regista Loredana Dordi, nata a Bolzano nel 1943 e cresciuta a Trento ma ormai da molti anni a Roma, dove si diplomò nel ’68 al Centro sperimentale di cinematografia, iniziando poi a lavorare in Rai come documentarista. Da allora ha raccontato le storie di sommersi ed esclusi, attraverso inchieste sul lavoro minorile e sulla condizione delle donne in Italia nel passaggio da un’economia agricola a una industriale (“Lavoro minorile” e “Riprendiamoci la vita”). Il suo lavoro più celebre, del 1979, è “Processo per stupro”, quando per la prima volta una cinepresa entrò in un’aula di tribunale per riprendere le sconvolgenti immagini appunto di un processo per stupro, restituendo l’orrore di un dibattimento in cui la vittima subiva una seconda violenza: quella di una giustizia al maschile. Proprio “Processo per stupro”, di cui una copia è conservata negli archivi del MoMA di New York, le valse nel ’79 il Prix Italia e la nomination all’International Emmy Award. Ma Loredana Dordi ha vinto anche il Premio De Sica al Festival di Venezia nel 1985, con “Fratelli”, e due volte il Premio Ilaria Alpi, nel 2001 con “Storie di strada” e nel 2006 con “Lavorare stanca”.
Sempre di donne parla “Vite violate”, e sempre di violenza. Ma questa volta è la violenza esercitata attraverso la loro riduzione in schiavitù. Il documentario racconta infatti storie di prostituzione minorile: e infatti dopo essere stato trasmesso da Rai Tre venne “secretato” dall’autrice su richiesta di alcune delle protagoniste. E solo grazie un intervento della stessa Dordi la Rai ne ha autorizzato ora la proiezione. Per capire meglio di che cosa si tratta, più che mai opportune sono le note di regia della stessa autrice: «Sognavano l’Italia, un lavoro e una vita meno dura. Ma il sogno finisce presto. Hania viene stuprata dall’uomo che l’ha comprata. Lo stupro avviene in un bosco vicino al fiume, ai confini con l’Albania. “Io piangevo e lui rideva” racconta. Dopo questo rito di iniziazione alla violenza è costretta a prostituirsi. Viene venduta e comprata. “A lui interessavano solo i soldi e se non gli piaceva come ti comportavi ti vendeva ad un altro e così finivi in mano a tante persone che non capivi cos’era questo giro”. Intorno a lei “girava” un racket specializzato nel reclutamento e nella vendita di schiave la cui organizzazione capillare si estende dai paesi dell’est all’Italia e a tutta l’Europa Occidentale, producendo immensi guadagni».
E ancora Shedia, 12 anni quando viene rapita in Montenegro. Ancora dalle note di regia: «Ricorda quando, con la forza, le hanno chiuso la bocca, gli occhi, legato le gambe e l’hanno portata in Italia. Ricorda quando passava le notti sulla strada a prostituirsi e di giorno la incatenavano in una stanza perché non fuggisse. “Ero una bambina. Che cosa potevo fare io?”. Che cosa poteva lei, schiava a 12 anni?. Che cosa poteva fare Schelly che era partita dalla Nigeria alcuni anni fa “perché nel mio paese la mia famiglia è povera e allora anche per mangiare non si può mangiare”? Quando era partita, l’organizzazione aveva pensato a tutto: la promessa di un lavoro, il passaporto falso, le spese di viaggio e il contatto con un referente in Italia. Shelly sottoscrive un contratto che la obbliga a restituire 4 milioni, che poi in Italia diventeranno 70, “perché sulla strada si guadagna di più”, le dicono. E affinché tenga fede al contratto viene sottoposta al rito vudù che la legherà fino alla morte al dovere di ripagare il suo debito. Così è costretta a prostituirsi di giorno e di notte, perché è in pericolo non solo la sua vita ma anche quella dei suoi familiari in Nigeria. Di notte, sulla strada, ha paura: “Quello che è brutto è quando è successo che una donna è morta. Perché tante volte è così. E allora dici – Dio! Chi sarà dopo? – Perché ci sono tante donne che stanno morendo senza aiuto».
Presentandolo a suo tempo, la critica parlo di «eccezionale film inchiesta», di «documentario da far vedere nelle scuole». Sebastiano Messina, su Repubblica, lo definì «documento di una durezza purissima, che interroga le nostre coscienze. Ci voleva del coraggio civile a realizzarlo e soprattutto a mandarlo in onda». Ecco perché l’iniziativa di martedì prossimo della Galleria Civica, nell’ambito dell’Uman Festival dell’Università, è da non perdere. L’ingresso è gratuito: sappiate però che per motivi logistici serve la prenotazione, all’indirizzo mail eventi@mart.tn.it.
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