Google ci ha trasformati. «Ora bisogna formare i prof»
La professoressa Ghislandi: «Il Trentino è aperto, ma può fare molto di più»
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. Google sta modificando il nostro cervello. Ecco, detta così sembra un’esagerazione. Però è innegabile che dall’avvento di internet ad oggi non solo la comunicazione è cambiata alla velocità della luce (l’abbiamo visto con la crisi delle librerie) ma cambiano e stanno cambiando anche le modalità di apprendimento. Su questo punto non c’è neppure più dibattito. Il problema, piuttosto, è come affrontare il mondo nuovo. E, soprattutto, come affrontarlo a scuola. La scuola, sì, che è davvero un periodo “speriamo che me la cavo”. E l’irruzione di internet non è una delle tante materie, ma è un approccio diverso a tutto, al mondo, alla conoscenza in particolare. Se quindi il titolo di questa nuova sfida è “io e la macchina”, è chiaro che non basta l’introduzione in classe della lavagna multimediale. O forse sì, purché siano preparati gli insegnanti. Perché i ragazzi sono nativi digitali e gli insegnanti spesso sono invece “resistenti al digitale”. Anche in Trentino. Dove ci si picca d’esser laboratorio.
La professoressa Patrizia Ghislandi, docente di didattica e pedagogia speciale al Dipartimento di Psicologia e scienze cognitive di Rovereto, è esperta proprio di didattica online e del rapporto fra nuove tecnologie e insegnamento.
«È evidente che internet e più ancora google stanno cambiando profondamente il modo in cui noi pensiamo. Già McLuhan diceva negli anni Sessanta che il medium è il messaggio:».
E comunque che internet stia cambiando il modo in cui pensiamo è ormai assodato, giusto?
«Certo. Ora bisogna decidere come comportarsi. Se vogliamo resistere a queste modalità di apprendimento, se vogliamo adottarle, oppure se vogliamo capire quali capacità ci toglie un po’ alla volta e quali altre ci libera. Tenendo conto che non dobbiamo perdere la capacità di lettura di testi lunghi».
Ma i ragazzi oggi apprendono con pochi caratteri e faticano a concentrarsi su testi lunghi. Si muovono per immagini e acquisiscono per abbreviazioni da sms o per “composizioni” da hashtag.
«Ricordi bene che un testo, come diceva un amico mio, vale mille immagini. E dobbiamo dare le possibilità ai giovani di sviluppare al meglio la capacità di crescere anche sui testi lunghi. Ma non dobbiamo demonizzare le tecnologie».
Certo. Ma gli insegnanti di oggi si sanno muovere da un linguaggio all’altro, tra parola scritta e mondo virtuale?
«Ecco, questo è il punto. Credo che di fronte a una rivoluzione come questa (scusi il termine abusato, ma questa è davvero una rivoluzione) la primissima cosa da fare è preparare gli insegnanti. Devono familiarizzare con le nuove tecnologie...»
Ma non raggiungeranno mai i nativi digitali.
«Non importa. Quello che conta è costruire un rapporto tale con le tecnologie da poter avere distacco e quindi una superiorità. Proprio per non temere di essere scavalcato dagli alunni».
Non sarà semplice per tutti.
«Guardi, io non sono una ragazzina eppure parlo di intelligenza artificiale...»
Che cosa bisogna fare?
«Non basta mettere il computer nelle scuole. Se, poniamo, il budget è 100, non dovremo usarlo tutto per comprare le macchine. Una buona percentuale servirà per la formazione degli insegnanti».
Mi pare che lei si stia rivolgendo alla Provincia, ai nostri amministratori.
«Guardi, siamo in un’epoca importante. Se vogliamo fare un salto in avanti dobbiamo dare gli strumenti agli insegnanti per costruire il futuro dei nostri giovani. E allora serve una formazione dei docenti non solo sull’utilizzo delle tecnologie, ma anche di tipo teorico, comunicativo e didattico».
Si stava lavorando molto con le Ssis, le scuole di specializzazione all’insegnamento...
«Già, ma non ci sono più. Io credo che in Trentino ci sia una grande apertura al cambiamento e anche all’approccio alle nuove tecnologie, ma penso si debba fare di più».
Gli esperimenti sui social network nelle scuole possono servire?
«Tutto serve a qualcosa. Ma occorre un intervento organico, una formazione di base per tutti».
@paolomantovan
©RIPRODUZIONE RISERVATA