«Recitare è come viaggiare in un mondo parallelo»
Maria Giulia Scarcella, amore per le quinte sin da piccola: «Nessuna certezza, ma neanche automatismi»
ROVERETO. «Spero che quella bimba curiosa che è dentro di me non mi lasci mai e che possa ancora a lungo spingermi ad esplorare la vita». Chi si racconta è Maria Giulia Scarcella attrice di teatro roveretana da sempre affascinata dall’ambiente teatrale: «Colpa dei miei genitori che non sapendo dove mettermi quand’ero piccola, mi portavano con loro a teatro e così quando lo spettacolo non mi coinvolgeva ho iniziato a sognare di diventare una protagonista del palcoscenico». Determinante anche l’esperienza scolastica. Certo, se consideriamo la mia predisposizione frequentare il Liceo Classico Rosmini, che negli anni duemila proponeva una bellissima esperienza quale è stata quella della scuola teatro, non poteva che portarmi ad una scelta definitiva.
In cosa consisteva il laboratorio scuola teatro? Un’esperienza unica perché non erano solo prove di recitazione, ma si partecipava alle giornate del Festival Mozartiano di fronte ad una platea che non era certo composta sola da parenti e amici. Esperienza vera quindi che l’ha fatta sentire... Viva e libera. Si diploma e dice ai suoi che vuole andare a Roma per fare l’attrice: un obiettivo che terrorizzerebbe la maggior parte dei genitori. Vero, anche perché la triennale in Lettere Moderne l’avrei potuta frequentare vicino a casa. Sarà stata per la loro passione per il teatro, ma mi diedero il via libera; mia madre mi prese in disparte raccomandandosi che facessi le cose seriamente.
Riuscì a convincerli? Mi vedevano motivata e convinta, ma il passo decisivo penso che sia stata l’ammissione all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Venti posti per mille candidati e tre selezioni da passare. Ce l’ho fatta e penso che mi abbia aiutato l’aver frequentato la Scuola di Recitazione Teatro Azione diretta da Cristiano Censi e Isabella del Bianco. Muove così i primi passi in un mondo per nulla facile. Posso dire di aver scelto il più precario dei lavori precari per il quale non ci sono certezze, ma nemmeno automatismi. Accetto solo la valutazione delle mie capacità, non considero vie alternative.
Cioè? Faccio un esempio. Mando il mio curriculum per entrare nella compagnia di un teatro. Se mi chiamano lo devono fare perché mi apprezzano non perché mi presenta un regista, uno scenografo oppure un tecnico di scena.
La sua prima chiamata? Col Teatro Stabile di Bolzano dove partecipai a uno “Spotifai teatrale” diretto da Roberto Cavosi. Sulla falsariga delle playlist musicali si proponevano delle pillole teatrali della durata di una ventina di minuti e si andava non solo a teatro, ma anche nelle piazze e nelle case di riposo. Ricordo ancora la commozione di un’anziana signora per la quale quell’occasione era la sua prima partecipazione ad uno spettacolo, pur avendola sognata da una vita.
Conferma la superstizione degli attori? Certamente, sin dalle mie prime esperienze liceali ho imparato che se il copione dovesse cadere, lo devi sbattere a terra per tre volte e lo faccio ancora. Mai vestirsi di viola o pronunciare in teatro il Macbeth di Shakespeare che si dice porti sfortuna. Se proprio si deve si parla del “dramma scozzese”. Poi c’è una particolarità.
Dica. Prima di andare in scena si deve dire tre volte la parola merda. Lo faccio, ma ho insegnato questa usanza anche a mio nonno Leonardo che ha 93 anni. Prima di andare in scena lo chiamo e gli dico: nonno sto per cominciare a recitare e lui di rimando merda, merda, merda e ridiamo felici.
Qualche superstizione personale? Prima dello spettacolo, uso andare dietro le tende per ascoltare il rumore degli spettatori che entrano. Mentre in camerino ho un ciondolo con una mascherina. Curiosa la collaborazione con l’Istituto di Fisica Nucleare. Dal 2016 sono voce narrante, poi durante i convegni recito negli intermezzi testi che abbiano un’attinenza scientifica cioè faccio Teatro-Scienza ed in quest’ambito ho scritto anche il mio unico testo.
Ce lo illustra? Volentieri. Collaboravo con la Biologa Molecolare Michela Denti del Cibio di Trento e dovevamo preparare una sua lezione sul Rna. Tema impegnativo che andava in qualche modo alleggerito, ci sono riuscita creando due personaggi protagonisti di un testo comico: Dani che era il personaggio che interpretava il Dna, ragazza molto seria chiusa in se stessa, e sua cugina Rina (che era il Rna) che invece era matta e libera in tutto. Un monologo molto divertente che è stato un successo tant'è che l’ho registrato alla Siai.
Il genere che preferisce interpretare? Mi sento molto più portata per il drammatico, ma chi mi osserva dice che sono una comica inconsapevole.
Cosa le piace di più della recitazione? Osservare la reazione del pubblico. Le faccio un esempio. Stesso testo riproposto per più sere, cambiando solo le pause o l’intonazione della voce cambiano anche le reazioni del pubblico: un aspetto molto interessante.
Quando si emoziona? Tutte le volte che vado in scena, ma anche la felice tensione di una prima teatrale. Il teatro ti fa vivere in un mondo parallelo che lasci solo quando hai finito di recitare.
Solo teatro o anche cinema? Mi piacerebbe, ma dovrei ripartire da zero ed anche cambiare agenzia. Dicono che col mio metro e settantasette, i capelli neri e un viso con dei bei lineamenti potrei avere un fisico cinematografico, ma le stesse caratteristiche sono più che valide per i ruoli drammatici diciamo quindi che il cinema potrebbe essere un obiettivo.
Durante la pandemia il suo settore ha conosciuto una dura crisi, com’è sopravvissuta? Tornando a Rovereto ad insegnare devo riconoscere che la mia esperienza teatrale è stata utilissima per tenere insieme la classe.