la storia

Mariagnese, che ha insegnato a tante generazioni di bambini

E’ stata prima in Lombardia e poi in vari paesi del Trentino. «Per me gli alunni erano tutti uguali»


Daniele Peretti


TRENTO. Per anni è stata semplicemente la maestra Mariagnese protagonista del periodo nel quale insegnare aveva un qualcosa di pionieristico ed avventuroso anche perché le scuole erano diffuse capillarmente sul territorio ed erano anche laddove per tutto l’inverno per raggiungerle, c’era un unico viaggio di sola andata. Per Mariagnese quella della maestra è stata la ragione della sua vita e quando la ripercorre ancora si commuove e non riesce a trattenere le lacrime.

Mariagnese Ossanna nasce il 28 febbraio del 1930 a Cles, il ricordo dei viaggi a Trento: «Per essere alle 8 a scuola si partiva 4 ore prima e poi non si tornava più a casa fino al venerdì. Ero al convitto delle Dame di Sion che pur essendo il più elegante di Trento, si mangiavano praticamente solo patate e alle finestre avevamo i cartoni, perché i vetri erano stati rotti dai bombardamenti, ma devo dire che negli altri convitti si stava anche peggio».
Dopo lo stop dovuto alla guerra arrivò il primo concorso per entrare di ruolo e lei lo superò, ma c’è tutta una storia dietro... «Lo chiamavo il “concorsone” perché di fatto rivoluzionò l’Italia anche perché lo si poteva sostenere in qualunque città. Eravamo cinque amiche talmente convinte che non lo avremmo superato - perché troppo giovani ed inesperte - che decidemmo di mettere in altrettanti bussolotti i nomi di cinque città dell’Italia Settentrionale così almeno avremmo visto qualcosa di nuovo. Estrassi Bergamo e dovetti andare a Bergamo».

In famiglia cosa dissero?
Mi lasciarono andare anche perché sapevano com’era nata la scelta. Mi è sempre piaciuto scrivere e mi preparai studiando con un insegnante di Cles che mi fece entrare nel cuore Leopardi che ancora recito.

Il viaggio come andò?
Tutto bene fino a quando non mi sono resa conto che a Bergamo non c’era un posto dove dormire. Allora mi rivolsi ad un vigile chiedendo aiuto, mi mandò dalle suore in ospedale che mi diedero un letto facendo finta che mi avessero operato di tonsille. Superò la prova scritta. Fui l’unica neodiplomata a riuscirci e divenni un caso. Comunque avevo capito che mi era capitata un’occasione che non potevo perdere e mi sono buttata nello studio. Ore e ore andando anche da Cles a Rovereto per preparare la relazione su Rosmini, ma a 8 giorni dall’esame sono svenuta. Mio padre chiamò il primario dell’ospedale di Cles che conosceva, mi fecero una puntura e rinvenni. Mio papà mi disse che per un concorso non si può morire e che non mi avrebbe permesso di andare a sostenere l’orale. Mi crollò il mondo addosso, ma non sentiva ragione e così tornai dal primario e lo implorai di convincere mio padre. Ci riuscì, facendomi accompagnare in macchina; mia madre entrò nell’istituto con una puntura pronta in caso svenissi.

Come andò a finire?
Non finivo più: mi hanno studiato come una bestia rara, mille domande per capire fino a che punto ero preparata. Solo che le altre uscivano ed io no. Mia mamma si preoccupò, ma ancora di più quando una studentessa le disse “che stavo sciorinando”, non sapeva cosa volesse dire e voleva entrare in aula per vedere cosa stava succedendo, per fortuna la fermarono.

Vince il concorso e…
Mi sono ritrovata ad Isso un paesino di contadini che vivevano nelle cascine coltivando i campi dei proprietari terrieri di Milano. Parlavano solo dialetto che non capivo come loro non capivano l’italiano e mi alzarono un muro.

Un impatto duro.
Sì. Avevo cinque classi ed era il mio primo incarico. Le cose migliorarono quando le mamme che ricevevano le lettere dei figli militari venivano e farsele leggere e mi dettavano la risposta. Imparammo a conoscerci. Un giorno mi chiamarono per fare una puntura e per fortuna che mia mamma mi aveva insegnato, chiesi perché proprio io? Mi risposero che ero l’unica che potevo farle. Poi un giorno venne mia madre a trovarmi.

Cosa successe?
Entrò nella mia stanza e mi chiese dove fosse il bagno. Era in piazza, perché ce n'era uno per tutto il paese. Allora lei mi disse di prendere le mie cose e tornare a casa. Discutemmo, ma alla fine rimasi. Le racconto un altro episodio.

Prego.
Un giorno mi vennero a dire che stavano preparando un intruglio di erbe per far abortire una ragazza: troppa la vergogna per le regole di allora restare incinta senza essere sposate. Finita la scuola andai in quella casa e fermai tutto perché un bambino non lo si può uccidere. Il giorno dopo finita la scuola, andai in città e chiesi ad un vigile se c’era un istituto che accogliesse le ragazze madri. Me lo indicò, andai e mi misi d’accordo e il giorno dopo ci portai la ragazza. Il bimbo fu ripreso in famiglia insieme alla mamma. Ci siamo scritti per molti anni. Un giorno quando già abitavo a Trento ed ero sposata, suonarono il campanello. Mi trovai davanti un ragazzo vestito da alpino, era lui che mi era venuto a trovare.

(Al ricordo Mariagnese non riesce a trattenere le lacrime). Quanti anni è rimasta a Isso?
Due, ma sa che ho fatto anche scuola con i morti?

Ci racconti.
Trasferita in Trentino mi mandarono a Roncio una frazione di Mezzana ed anche in questo caso avevo 5 classi. Solo che con l’arrivo dell’inverno si restava isolati perché non c’era modo di raggiungere Mezzana, nemmeno per i funerali. Così i morti li seppellivano temporaneamente sotto la neve in un campo che era vicino al mio appartamento. Si figuri di notte la paura.

Un’altra avventura?
Covelo, che d’inverno si poteva raggiungere solo a piedi da Aldeno e così facevamo tutte le mattine. Mi assegnarono due classi, ma con bambini problematici. Uno l’anno prima aveva tentato di colpire la maestra con le forbici. Per me tutti i bambini sono uguali, quindi me lo presi vicino e lo aiutai. Diventai il suo idolo. Solo che i problemi arrivarono con le altre maestre.

Perché?
Arrivò la settimana di “gita” a Candriai che io accettai subito, mentre le altre quattro maestre rifiutano perché non se la sentivano. Mi dissero che non sarei dovuta andare nemmeno io per non far fare loro brutta figura. Me ne fregai, presi tutti i miei ragazzi, nessuno escluso e andai. Al ritorno la classe era piena di piante e fiori, i genitori avevano apprezzato. Dopo anni di distanza, un giorno al Bren Center vidi un vigilantes che mi osservava, si avvicinò e mi chiese: la maestra Mariagnese? Gli dissi di sì ed allora lui mi mi baciò e mi abbracciò: era quel ragazzo problematico che se non mi avesse incontrato chissà dove sarebbe finito.

Non fu facile nemmeno a Cognola.
Rientrai dopo la maternità, ma allattavo ancora e così, finite le lezioni della mattina, scendevo di corsa per raggiungere il mio bambino; mangiavo un piatto di pasta mentre lo allattavo e poi tornavo a scuola in autobus. Quando ho insegnato a Maso Milano mi portavo la minestra in una thermos che spesso mangiavo già a metà mattina perché avevo fame e poi non avevo più nulla fino a quando non tornavo a casa. Che rabbia pensare a mio marito che lavorava in Provincia e non solo pranzava tranquillamente, ma riusciva anche a fare un riposino prima di tornare al lavoro. Allora però era così: avevi un marito e non un aiuto come è adesso.













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