Carmen Hocica «Avere un obiettivo ci rende più forti davanti a ogni avversità»
Da sergente di fanteria con brevetto di paracadutista a contitolare della cooperativa che gestisce il magazzino della Fercam di Trento. Racconta: «mi piace lavorare, lo farei anche se avessi sposato un uomo ricco»
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SPORMINORE. Da sergente di fanteria con brevetto di paracadutista a contitolare della cooperativa che gestisce il magazzino della Fercam di Trento: «Perché mi piace lavorare e lo farei anche se avessi sposato un uomo ricco» afferma Carmen Hocica.
Partiamo dalla sua esperienza da parà?
In Romania era l’epoca di Ceausescu e gli studenti in estate dovevano partecipare a dei campi militari di addestramento, così entrai in fanteria. Ma volevo qualcosa che mi distinguesse, e così presi il brevetto da paracadutista: fu una bella esperienza, decisamente utile. Lo scopo dell’addestramento era creare un’armata di sole donne.
In seguito lascia la città di Pascani e si trasferisce ad Arad, aveva 18 anni.
Un trasferimento che all’epoca era obbligatorio: una volta terminati gli studi, si doveva andare a lavorare ed il primo impiego te lo dava lo Stato. Cominciai a lavorare in una fabbrica di scarpe dove diventai responsabile qualità. Poi lavorai da saldatrice, che era il diploma che avevo conseguito al liceo, e anche in una macelleria.
Lavori non proprio femminili.
Sono una femminista convinta e ritengo che a priori non ci siano lavori che le donne non possono fare. Si deve provare tutto. Per anni il mio compito in macelleria fu lavorare sacche di sangue per dividere i globuli bianchi da quelli rossi, poi lavorai in magazzino seguendo le spedizioni dei prodotti finiti, ma anche al banco. Già allora lavoravo 12 ore al giorno: dopo il turno di 8 ore in macelleria, andavo a vendere gelati per altre 4 ore. Ma non finisce qui. No perché poi per 10 anni fui la responsabile di una sala Bingo. A quel punto la decisione di venire in Italia. Era il 2000, mia sorella era già a Rimini e la raggiunsi.
Com’è stato l’impatto?
Duro. Oltre a non conoscere la lingua, dell’Italia al di là della storia e della mafia non sapevo nulla. La cosa più difficile fu passare da un lavoro dove comandavo a fare la collaboratrice domestica: ma non avevo alternative.
Cosa l’ha aiutata a superare le difficoltà?
Il desiderio di far venire in Italia mia figlia. Lo potevo realizzare solo se avevo le possibilità economiche e così abbassai la testa, ma quell’obiettivo mi rese tutto più facile.
A Rimini il colpo di fulmine, ma non era un temporale.
Conobbi mio marito Gigi che era la prima volta che veniva in ferie al mare, entrambi single e dopo una frequentazione di un anno mi trasferii a Sporminore. Era il 2002.
In Trentino inizia quell’esperienza nel magazzino che diventerà l’occupazione della vita.
Lavoravo per una cooperativa che aveva vari appalti in settori diversi, da quello sportivo all’utensileria, fino al materiale da costruzione. Poi l’ingresso in Fercam. Dapprima come operaia, mi occupavo dell’assemblaggio, poi dal settembre 2018 come dirigente della cooperativa e dal 2 gennaio di quest’anno sono socio alla pari con mio marito col quale abbiamo dato vita alla NB Logistica.
Oltre che fisica è anche un’occupazione di coordinamento, viene utile l’esperienza di militare?
Fondamentale perché grazie all’addestramento ricevuto riesco a ottenere il rispetto sia personale che dei ruoli, ma anche la disciplina che è indispensabile in un ambiente di lavoro.
Un temuto sergente di ferro?
No, mi considero a tre fasi: donna, madre e responsabile e su queste tre basi gestisco i rapporti. Capisco i problemi, che però devono restare fuori dal capannone perché il lavoro è un mezzo per risolverli. Con lo stipendio puoi pagare i debiti, le bollette o portare a casa il latte per i bambini, ma se lavori con la testa rivolta ai problemi lavori male e se ne creano altri.
C’è un pensiero che rispecchia la sua idea di rapporto con i dipendenti?
Nessuno è indispensabile come nessuno è inutile. Lavorare non le pesa proprio. Come ho detto mi piace e lo farei indipendentemente dalle condizioni economiche nelle quali mi potrei trovare. In pratica è da fine anni ottanta che non faccio mai meno di 12 ore al giorno: va bene così, basta che abbia il tempo per riposarmi.
Un ricordo della Romania?
Premetto che mi piacerebbe tornarci a vivere, però mi dispiace che il livello di vita sia così basso e che le donne siano trattate male. Per me il rispetto è una condizione indispensabile in qualsiasi ambito. Se manca quello frana tutto.
Ha un sogno che vorrebbe realizzare?
No perché lo è già la mia vita. Lo è il mio lavoro che vivo di giorno in giorno che mi ha permesso di far venire in Italia mia figlia che ha potuto studiare e dopo il diploma, si è laureata a Trento. Io stessa studio ancora perché se vuoi eccellere serve studiare, se non lo fai ti confondi nella massa e non sarai mai nessuno.