Schwazer: «Che bello non dover più marciare»
Il campione olimpico rompe il silenzio in un’intervista a Vanity Fair. «Studio economia a Innsbruck , non faccio sport e vivo una vita normale»
ROMA. Alex Schwazer rompe il silenzio e si confessa: «Qual è la cosa più bella della mia nuova vita? Stare seduto in classe in mezzo a ottanta ragazzi, guardare la pioggia fuori dalla finestra e pensare: Che bello, oggi non devo uscire».
Il marciatore, ormai ex, si racconta in un’intervista a ’Vanity Fair’ in edicola da oggi: «Sto bene - fa sapere - ora studio Economia a Innsbruck, faccio una vita normale».
Il momento che cambia la vita di Schwazer è una sera di fine agosto del 2011, in Corea del Sud. La mattina il marciatore altoatesino, medaglia d’oro olimpica nel 2008 a Pechino, ha gareggiato al Mondiale nella 20 chilometri, e anche se si è qualificato solo nono è soddisfatto del risultato: arriva da un periodo difficile - dopo Pechino ha cambiato allenatore, città e psicologo - e in primavera si è rotto un legamento. Ma quella sera gli si avvicina un gruppo di atleti stranieri appena rientrati da una squalifica per doping.
Sghignazzano e c’è una frase che per l’azzurro è una pugnalata: «Schwazer Italia 3 ore e 36, Schwazer Russia 3 ore e 30».
Ovvero: il tempo che fa da «pulito» rispetto a quello che, se imitasse tanti atleti russi, farebbe da «dopato». Per Alex quelle parole ne vogliono dire una sola: «Stupido». Il resto è nelle cronache: l’acquisto delle fiale di eritropoietina in una farmacia turca, le iniezioni cominciate il 13 luglio 2012, il 30 dello stesso mese il controllo che lo trova positivo e che determina l’esclusione dall’Olimpiade di Londra, l’8 agosto lo shock della conferenza stampa, l’intervento della giustizia sportiva e di quella ordinaria, che si pronunceranno prossimamente. Poi un lungo silenzio, che l’ex marciatore rompe con l’intervista a ’Vanity Fair. È bastato dunque lo scherno dei colleghi a fargli decidere, quella sera, di rinnegare i valori per i quali era diventato un simbolo: «Se certi commenti te li fanno quando stai bene, te ne freghi. Ma io, dopo anni di delusioni, avevo un problema psicologico: quelle frasi mi hanno scatenato dentro una tale rabbia, un tale senso di ingiustizia. Mi sono detto: o smetti subito o ti arrangi come fanno tanti, troppi altri. Se sto dicendo che nella marcia sono quasi tutti dopati? Sto dicendo che, degli otto russi qualificati per l’Olimpiade del 2008 tra aprile e maggio, ne hanno beccati cinque ai controlli antidoping. Non cerco scuse, so di aver sbagliato, voglio solo spiegare come sono arrivato a fare un errore così stupido». Sentiva la pressione di tornare a vincere, di non deludere le aspettative create a Pechino.
«La pressione più pericolosa è quella che ti crei da solo, e io sono un maestro nel rovinarmi la vita».
La sua fidanzata, Carolina Kostner, gli è rimasta accanto. Molti scommettevano che l’avrebbe lasciata: «Invece ad aprile festeggiamo cinque anni insieme, e questa difficoltà, come i problemi di carriera che lei ebbe due anni fa, ci ha resi ancora più uniti. Se c’è una persona che può capire e perdonare quello che ho fatto, è lei: noi sportivi siamo estremi, viviamo di pressione e disciplina, e se non stiamo bene psicologicamente rischiamo sempre di cadere».
Il suo errore di oggi rischia di gettare un’ombra di sospetto anche sul trionfo di quattro anni fa: «Per questo ho subito chiesto che fossero rese pubbliche le mie analisi di allora, ma nessuno l’ha ancora fatto. All’epoca avevo valori da quasi anemico, incompatibili con l’uso di Epo. Ho sbagliato, lo ripeto, ma nessuno può togliermi la medaglia che ho vinto a Pechino, con onestà e anni di sacrifici».
Il ciclista americano Lance Armstrong è stato però squalificato a vita, e tutti i suoi titoli cancellati, dal 1998 a oggi: «Il suo è un caso diverso: ci sono testimonianze che lo accusano di avere praticato sistematicamente il doping per tutto quel periodo. Teoricamente potrei anche accettare la squalifica a vita, se servisse a dare un segnale. Ma allora deve valere per tutti, non solo per me».