«L’intelligenza artificiale non rimpiazzerà le persone»
Roberto Busato, direttore di Confindustria Trento: «Piuttosto sarà un motore dell’evoluzione umana e aprirà tante nuove possibilità»
TRENTO. Nel giro di 5 anni quasi un lavoro su quattro cambierà, e in cima alle professioni più ricercate ci saranno gli "specialisti in AI Machine Learning". Sono alcuni dei dati e delle previsioni contenute nel rapporto 2023 sul futuro dell'occupazione del World Economic Forum. E al centro del cambiamento ci sarà l'intelligenza artificiale. «Ma non penso, come temono molti, che ruberà posti di lavoro: piuttosto sarà motore della loro evoluzione, e aprirà numerose nuove possibilità», è la riflessione del direttore di Confindustria Trentino Roberto Busato.
Quali sono alcune delle sfide e opportunità portate dall'intelligenza artificiale?
Non posso che iniziare dalle sfide, a partire dalla carenza di personale. Sia di base che specializzato. In Trentino siamo al quartultimo posto in Italia per laureati STEM. Nonostante Università e centri di ricerca, non riusciamo a mantenere questi giovani sul territorio. Se vogliamo governare i cambiamenti portati dall'AI, dobbiamo investire sull’innovazione dall'industria meccanica tradizionale alla meccatronica, che in tante aziende è già realtà. D'altra parte i nostri istituti tecnici negli ultimi anni hanno compiuto grandi passi in avanti. Anche qui si inizia a parlare di Space Economy, una tecnologia versatile che può portare benefici anche alle aziende metalmeccaniche che si occupano di componentistica. Questa è una grande opportunità.
Quali saranno i settori più investiti dall'AI in Trentino?
Parlando di intelligenza artificiale è facile pensare alla robotica e a macchine che porteranno sempre più automazione nel lavoro, ma ci sono buoni risultati anche in ambito medico con la diagnostica per immagini, anche se sarà sempre necessaria la mediazione e la verifica di un operatore specializzato tra la fase di istruzione di macchinari e i medici che sulla base dei referti si occuperanno di operare i pazienti.
Per questo lei contesta la “I” in AI.
In fondo si tratta sempre di una banca dati: da una parte trae le conclusioni da una quantità di informazioni non immagazzinabili dalle persone, dall’altra manca di spirito critico per distinguere la qualità. Io la concepirei come uno strumento di supporto sempre più sofisticato.
Quali saranno alcune competenze umane che non cambieranno?
Penso soprattutto alle soft skill, trasversali a qualunque lavoro si faccia. Con il venire meno di mansioni ripetitive, fondamentali saranno le capacità di adattamento a una serie di situazioni variabili. Poi la conoscenza delle lingue, e dell'informatica, un vero e proprio linguaggio. E le competenze relazionali per confrontarsi, lavorare in gruppo e riconoscere gli errori degli altri e di sè stessi.
Ha parlato di carenza di personale. Quali potrebbero essere alcune soluzioni per garantire la manodopera?
Dovremmo approfittare delle opportunità portate dai flussi migratori. Oggi per i rifugiati c'è un iter burocratico di anni prima di ottenere lo status. Cosa facciamo nel frattempo? Li teniamo parcheggiati, senza nemmeno preoccuparci di conoscere le loro competenze. Dovremmo favorire i loro ricongiungimenti familiari. E poi non dovremmo solo aspettarli, ma progettare un sistema per potere intercettare i più bravi sin nei loro Paesi d'origine. Insomma, tra chi arriva non ci sono solo i "disperati". Tutt'altro, semmai siamo noi a renderli tali.
Secondo lei c'è una correlazione tra l'innovazione del lavoro e la "great resignation"?
La tecnologia cambia i modi di pensare delle persone. Una volta le più sofisticate tecnologie di informazione erano appannaggio di pochi, ad esempio Internet nasce a uso militare e i supercomputer erano proprietà di poche grandi multinazionali. Al di là di quello che si dice oggi, la diffusione di tecnologie avanzate come computer e smartphone ha permesso alle persone di acquisire grandi quantità di informazioni, confrontarsi sul proprio stile di vita e scoprire problemi comuni. Ci si è resi conto che c'è una vita anche oltre il lavoro.
Le aziende sono in grado di captare queste nuove esigenze?
Direi che si tratta di una necessità, se vogliono innovarsi e restare competitive. Oggi sono i lavoratori a scegliere le aziende e non viceversa. È quindi fondamentale permettere la conciliazione tra il tempo di lavoro e la famiglia, e fornire possibilità di smart working dove possibile. Per i lavoratori più qualificati si tratta di esigenze non negoziabili. In Italia siamo inoltre ancora legati all'orario di lavoro, mentre secondo me dovremmo ragionare per obbiettivi.