Malghe, ora è preoccupazione vera: mancano acqua e personale
In Trentino sono 350. La siccità sta colpendo duro i pascoli, che in quota non si possono irrigare
TRENTO. Uno parla di malghe e pensa al rumore dei campanacci quando cala la sera, ai prati rasati, alle cartoline o ai quadri di Segantini. Ma le malghe in Trentino sono anche una voce importante dal punto di vista economico, culturale e turistico.
Ci lavorano almeno un migliaio di persone, approssimando per difetto, e anche se producono solo il 4 per cento del latte munto in provincia e il 2 per cento dei formaggi prodotti, nell’immaginario collettivo sono «il» luogo dove nascono latte e formaggio.
Con un ritorno di immagine che nell’era del marketing vale un patrimonio per tutta la filiera. Ma sono anche un presidio insostituibile sul territorio montano, con ricadute sul turismo.
E da ultimo, la fonte di quei prodotti caseari tipici che fanno la differenza nella ristorazione. Le difficoltà che stanno vivendo non mettono a rischio una cartolina, ma alcuni dei punti forti dell’economia trentina. E le preoccupazioni, molto forti, degli operatori non possono che essere condivise da moltissimi altri. Francesco Gubert è agronomo specializzato in agricoltura di montagna.
Il momento è davvero così complicato?
Senza isterismi, ma sì. Perché convergono due grossi problemi assieme: da una parte la difficoltà estrema a trovare personale; dall’altra la siccità. Che colpisce un settore e zone che non sono storicamente abituati a doverla affrontare e quindi sono quasi del tutto impreparati. Partiamo dal personale: non si trova.
Ma perché?
Perché non è un lavoro come un altro. Non ci sono orari o quasi, né ci sono sabati e domeniche. La stagione dura tre mesi, dopo i quali per quasi un anno non se ne parla più. Non torni a casa tua la sera. E gli stipendi non sono tali da compensare questi sacrifici.
Vale per il personale qualificato o in generale?
Per tutti. Oggi la malga non è competitiva rispetto a tutta una serie di altre realtà occupazionali che cercano manovalanza, anche non qualificata, e richiedono meno sacrificio. Magari pagando anche di più.
Messa così non ci sono molte prospettive: cosa potrebbe aiutare?
Non è semplice. Ci sono persone che provano, magari spinte dall’emotività di un film o di un libro letto. Poi però si rendono conto che la fatica è tanta e che vivere per tre mesi fuori dal mondo può essere anche pesante. Vengono in malga un anno, li formi, ma poi non li vedi più. E ogni anno riparti daccapo. Non so dire se basterebbero, ma posso dire che due cose comunque qua mancano: un sistema di formazione che abitui non solo al lavoro ma anche alla situazione della malga e poi un sistema che permetta un incontro efficace di domanda e offerta di lavoro. In Austria e in Svizzera esistono portali dedicati, qua si va col passa parola. Ma col passa parola non si reclutano forze nuove.
In Svizzera il personale lo trovano?
Sì ma lì che fa la differenza è anche lo stipendio: hanno paghe per noi assolutamente fuori mercato. E nelle loro malghe lavorano un sacco di stranieri: anche trentini. Ho un amico che in 100 giorni in Ticino ha guadagnato 14.000 euro. Spesato. Ovvio che personale ne trovano.
Negli ultimi due anni facciamo i conti anche con la siccità: come pesa sulle malghe?
Molto. È un problema nuovo, per il quale il sistema non è affatto attrezzato, ammesso che possa diventarlo. È la neve che sciogliendosi imbeve il terreno e dà la spinta iniziale ai pascoli. Senza neve, a giugno parti male. Se poi non piove abbastanza, le cose possono solo peggiorare. L’anno scorso ci sono malghe che sono state demonticate a metà agosto: non c’era più erba in quota. Se poi all’attività di malga vera e propria affianchi il caseificio le cose peggiorano ulteriormente. E con l’agriturismo ancora di più.
Perché?
Perché lavorare il latte richiede acqua, e potabile, e ancora di più ne richiedono ristorazione e ospitalità. Portare l’acqua con le cisterne può essere un tampone in casi eccezionali, ma non la regola. Diciamo pure che un’ altra annata povera di precipitazioni come l’ultima darebbe un colpo durissimo alle nostre malghe.
Tutto nero?
No. Il lato positivo è che dal punto di vista della tenuta della montagna, delle microproduzioni, del chilometro zero, le malghe hanno un potenziale enorme e a facilmente comunicabile: sono in potenza una risorsa clamorosa per il Trentino. E questo mi fa pensare che i loro problemi, molto seri, diventeranno i problemi di tutti. E che tutti lavoreranno per trovare soluzioni: l’allevatore può restare in valle, ma il Trentino non può fare a meno delle malghe.