Il caso

Pantani morì 20 anni fa, per la Procura non fu ucciso

L'inchiesta a Rimini verso una terza richiesta di archiviazione



RIMINI. La prossima settimana saranno trascorsi vent'anni dalla morte di Marco Pantani e con l'anniversario, probabilmente, arriverà anche la richiesta di archiviazione della terza indagine della Procura di Rimini sulla scomparsa a 34 anni del campione di ciclismo.

Pantani fu ritrovato cadavere il 14 febbraio del 2004 in una stanza del residence 'Le Rose' di Rimini e per la terza volta in 20 anni gli inquirenti sono giunti alla stessa conclusione, non fu omicidio. L'indagine del procuratore Elisabetta Melotti e del sostituto Luca Bertuzzi non è ancora formalmente trasmessa all'ufficio gip come richiesta di archiviazione, ma elementi nuovi non sarebbero emersi.

"Se e quando arriverà una richiesta di archiviazione, ne valuteremo le motivazioni e decideremo se varrà la pena fare opposizione - ha detto l'avvocato Fiorenzo Alessi che rappresenta i genitori di Marco Pantani - Da quanto sappiamo, in questi anni la Procura ha indagato a fondo seguendo anche i nuovi indizi e le nuove tracce che abbiamo fornito per conto della famiglia Pantani". A spingere per la riapertura dell'indagine, una nuova denuncia della mamma, Tonina Belletti che aveva dichiarato ai carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo di Rimini: "Marco non era solo la notte che è morto, con lui c'erano due escort". Era stata poi mamma Tonina a fornire alla Procura i nomi di nuovi testimoni o conoscenti del Pirata, mai ascoltati in precedenza. Sono state decine infatti le persone ascoltate dagli inquirenti e mai sentite prima da chi ha indagato. Ma nessuno pare abbia saputo fornire indicazioni certe, anzi spesso si è trattato di informazioni fuorvianti e inattendibili. Interrogato in Procura anche il tassista che portò davanti al residence due cubiste; un investigatore privato, poi deceduto, che millantava di sapere cose mai dette; gli amici, le donne, anche quelle di una sola sera, il personale di servizio dei locali frequentati da Pantani, insomma tutti quelli che avevano potuto avere contatti con lui nei giorni precedenti il 14 febbraio 2004. Nessuna nuova pista è emersa. Una strada senza uscita anche la testimonianza di Fabio Miradossa, il pusher che patteggiò nel 2005 una pena per spaccio legato alla morte di Pantani e che alla commissione antimafia disse: "Marco è stato ucciso, l'ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato". Quelle dichiarazioni però pare che il pusher non le abbia mai confermate agli inquirenti riminesi. Le inchieste hanno concluso che Pantani morì da solo in una stanza chiusa dall'interno, per un'azione prevalente di psicofarmaci. Esclusa l'ipotesi di un'assunzione sotto costrizione. Nessun risultato neppure in precedenza dagli accertamenti, sempre sollecitati dalla famiglia, su un presunto intervento della Camorra al Giro d'Italia del 1999, quando Pantani venne escluso per l'ematocrito alto, il 5 giugno. Per il campione, l'ultimo uomo a realizzare la doppietta Giro-Tour de France nello stesso anno, il 1998, quel giorno di giugno a Madonna di Campiglio fu l'inizio della fine. Infine anche per Pantani ter si potrebbe dire che si è "spaccato il capello" acquisendo in toto le risultanze della Commissione parlamentare antimafia della fine del 2022. La stessa commissione del resto aveva ascoltato in audizione il procuratore capo di Rimini, Melotti, che di fatto ai parlamentari aveva ribadito le risultanze dell'indagine chiusa nel 2015.

La precedente indagine, coordinata dal procuratore Paolo Giovagnoli, infatti si era chiusa con un'archiviazione, dopo una nuova perizia medico legale all'epoca affidata al professor Franco Tagliaro, stabilendo che il campione di ciclismo era stato stroncato da un mix di droga e farmaci. L'archiviazione di inizio 2016, stabilita con sentenza dal gip di Rimini, Vinicio Cantarini, aveva retto fino in Cassazione che ne aveva respinto definitivamente ricorso. 













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