Cooperazione, domani si decide il futuro

L’assemblea al bivio: Bona e Pancher sfidano Schelfi. Ma la vera posta in gioco è il modello di sviluppo del Trentino


di Roberto Colletti


TRENTO. Comunque vada a finire la grande battaglia in corso, la Cooperazione dovrà aprire una riflessione su ciò che è diventata negli ultimi vent’anni, nove dei quali con Diego Schelfi al timone. Se c’è qualcosa da rimproverare alla contesa di questi ultimi mesi, è il fatto che è scoppiata tardi, troppo a ridosso dell’appuntamento di domani, quando l'assemblea dovrà decidere se fare un’eccezione al limite dei tre mandati affidando la presidenza per la quarta volta a Schelfi, oppure se eleggere un nuovo timoniere. I nomi in campo si sanno: Schelfi indicato dal comitato dei “saggi” come il candidato per superare l’emergenza, il moderato Erman Bona e il critico Sandro Pancher, che oggi catalizza umori e malumori che una gestione lunga quasi un decennio inevitabilmente porta con sé.

Il confronto, dunque, c’è ed è una buona cosa. Ciò che, invece, ancora non è emerso con chiarezza sono le alternative in campo. Per una realtà complessa di via Segantini non è sufficiente che Bona predichi la centralità delle cooperative di base con i consorzi ricondotti alla loro disciplina di servizio. O che Pancher suggerisca prospettive più “politiche” che, però, non ha ancora reso esplicite, confuse come sono state le sue misurate dichiarazioni (l’esperienza non gli manca) dalle polemiche puntigliose e recriminatorie di taluni suoi sponsor. Ma con le punture di spillo non si smuove, figurarsi se si governa un mastodonte come la Cooperazione. Perché questo è diventato negli ultimi vent’anni il sistema cooperativo: un mastodonte che macina miliardi di fatturato l’anno, che domina il credito, che condiziona la spesa delle famiglie, che rappresenta praticamente tutta l’agricoltura (vino e mele milionari, non cavoli e carote) e sostiene migliaia di stipendi con le società di produzione e lavoro.

La sensazione che si trae dagli argomenti sin qui messi in campo è che non si abbia la consapevolezza della partita. Per carità, tre mandati sono abbastanza per chiunque e la retorica del “ricambio” va per la maggiore esattamente come negli anni ’90, anche se quell’esperienza dovrebbe averci ammaestrato che il nuovo non sempre è il meglio. Eppure non si è sentito alcun confronto sugli inciampi (forse inevitabili) del governo esercitato per nove anni da Schelfi e dai 22 membri del consiglio d’amministrazione che, ricordiamolo, non da lui sono stati nominati, bensì sono stati eletti, come si dice oggi, dall'assemblea sovrana su indicazione delle cooperative.

In questi mesi - per ricordare gli errori, perché le cose che vanno bene, si sa, sono merito di tutti - non s’è discusso di come, a fatica e talvolta maldestramente, s’è affrontato il caso Fiavè, o dello sbandamento della Cantina LaVis o dei rischi dell’operazione Italcementi. Ci si è limitati alla pretattica assembleare, alla retorica cambiamento sì, cambiamento no. In gioco, invece, è il cambio di passo che le dimensioni economiche e la presenza sociale oggi impongono alla Cooperazione se ambisce a presentarsi come un possibile modello di sviluppo per il Trentino. Passaggio reso più urgente dalla Grande Depressione che fa fallire le imprese, impoverisce le famiglie e mette a rischio le garanzie dello stato sociale. Domanda: la Cooperazione, cominciando dall’esperienza maturata dalle sue 540 società, è capace di costruire una prospettiva economica e di solidarietà sociale che s’opponga allo sfaldarsi della solidarietà che s’avverte nel Paese? Su questo sarebbe utile che i candidati si confrontassero. Per ora s’è parlato d'altro.

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