«Rsa, una prigione dorata: papà me lo riporto a casa»
Il caso. Una lettrice ci racconta la sua scelta: «Era in casa di riposo nella stessa stanza assieme alla mamma morta poi in maggio. Lo vedevamo mezzora divisi dal plexiglass: adesso è con noi»
Valsugana. «Le famiglie vanno aiutate a tenere a casa i propri cari. Le restrizioni, l’impossibilità di vedere gli affetti, il senso di abbandono che sentono gli anziani ospiti delle Rsa, possono, infatti, colpire più del virus». L’appello arriva da una famiglia che ce l’ha fatta, riuscendo a trovare gli aiuti per riportare a casa il loro caro. E che vuole condividere la propria storia, affinché altri possano seguire questa strada.
«Vorrei fosse riportata anche una buona notizia. Buona in parte: avrei voluto che le condizioni che ci hanno spinto a gennaio di quest'anno a ricoverare in casa di riposo i miei anziani genitori non fossero cambiate. E ancora non è sicuro che questa scelta ci salverà da eventuali contagi. Infine mi piacerebbe che tutti i familiari degli ospiti delle case di riposo potessero, con adeguati aiuti da parte della società, tenere a casa i propri cari», ci scrive S., riferendosi alla scelta fatta.
A gennaio 2020 i genitori vengono ricoverati in casa di riposo. Qui possono essere curati e seguiti al meglio da professionisti, sostenuti dall’affetto della famiglia. Stessa struttura, stessa stanza. Insieme, come a casa. Due mesi dopo il Covid, che spariglia tutte le carte. A maggio la morte della mamma e il papà di 93 anni rimane solo in Rsa, con la possibilità di vedere la sua famiglia solo mezzora a settimana, dietro ad un plexiglass, senza potersi abbracciare, toccare. Una condizione insostenibile per tutti. Da qui la ricerca di aiuto, gli assistenti familiari, trovati grazie al passaparola e ad un annuncio all’Agenzia del lavoro, che ha permesso al papà di lasciare la casa di riposo e tornare a casa.
«Ce l’abbiamo fatta, siamo riusciti a trovare degli aiuti concreti che ci hanno permesso di riportarlo a casa con noi. Le condizioni di vita in casa di riposo, a suo tempo scelta nella convinzione che li i miei genitori avrebbero avuto le migliori cure igieniche, sanitarie e fisioterapiche mentre noi familiari ci saremmo occupati delle relazioni affettive, della compagnia, sono radicalmente cambiate – prosegue la figlia- trasformando quel soggiorno in una vera e propria prigione dorata, motivo di profonda depressione per il senso di abbandono involontariamente causato e di impotenza verso regole spesso più micidiali dello stesso virus che si vuole combattere». E ora? «Non sarà facile, ma sono convinta che poter vivere i propri affetti senza impedimenti al sorriso, abbraccio e vicinanza non abbia prezzo – conclude -. E continuerò a combattere con tutti i familiari degli ospiti delle Rsa perché, pur rispettando i principi di sicurezza e tutela della salute, si possa trovare una soluzione per non far sentire abbandonati i propri cari nelle case di riposo».