L’intervista

Ugo Rossi: «Il tavolo ora è in ritardo. Sì, meglio avviare le primarie»

Il dilemma di Alleanza Democratica per l’Autonomia: alla ricerca del candidato con il direttorio o con una gara aperta? L’intervista all’ex presidente della Provincia di Trento


Paolo Mantovan


TRENTO. Il centrosinistra terzo polo autonomista (o "Ada", Alleanza democratica per l'Autonomia che dir si voglia) può permettersi di andare avanti così, con un "tavolo" che somiglia sempre più a un direttorio, per definire candidato e programma alternativi al centrodestra guidato da Fugatti? Non è forse il caso che rispetto a un piccolo conclave di " saggi" si attivi piuttosto un meccanismo molto più partecipativo, le primarie, per ridare aria ed energia a un'area politica che al momento è in sofferenza?

Quest'idea l'abbiamo lanciata sul giornale di venerdì 23 dicembre, con un editoriale, e sabato 24 dicembre abbiamo sentito Ugo Rossi, l'ex presidente della Provincia che fu (unico caso nella storia dell'autonomia trentina) scelto proprio con il metodo delle primarie. Era il 2013, 9 anni fa, come dire un secolo fa politicamente parlando, pensate che c'era appena stato il boom dei Cinquestelle (che se ne stavano in silenzio stampa), con la "non vittoria" di Bersani, Renzi era in procinto di prendere la scena, Salvini sarebbe diventato segretario della Lega solo nel dicembre di quell'anno, Fratelli d'Italia era stato fondato da Meloni, Crosetto e La Russa nel dicembre 2012.

Ugo Rossi, pensa che il "direttorio" possa svolgere la sua funzione e trovare il candidato per la coalizione di Ada? 
«Guardi, io penso a cinque anni fa, quando venne messo da parte un presidente, il sottoscritto, senza avere un'alternativa».

Fu un trauma. Per lei, per la coalizione.
«Io so che in questa legislatura io ho messo da parte quel che era accaduto e che ho provato a guardare oltre e, lavorando per le comunali del 2020, ho trovato un candidato come Ianeselli, attorno al quale è stato costruito un progetto su Trento. Per le provinciali, invece, è da un anno che dico che bisogna accelerare e trovare una leadership. E lo sanno tutti che non ci sono retropensieri, visto che io non mi ritengo in gioco».

Il tempo si sta esaurendo…
«Siamo di fronte a un passaggio in cui tutto è complicato a causa della crisi del Pd e il "tavolo" di Ada via via che passa il tempo perde forza, efficacia, valore».

Allora avanti con le primarie, quanto meno per rimettere in gioco tutta un'area, facendola uscire dalle stanze del direttorio?
«Condivido l'allarme e l'analisi. Le primarie non sono la cosa migliore, lo sappiamo in tanti. Ma alla fine, nell'inerzia del tavolo e con i problemi del Pd, per non avere spaccature finiremo lì. Tanto vale aprire subito le porte».

Primarie dunque?
«Direi che è meglio fare una riflessione subito, con un lancio e rilancio, cercando novità e partecipazione».

Il "tavolo" ("direttorio") non può andar bene se si vuole rimettere aria in circolo.
«E poi, vede, ora sembra un tavolo in cui si gioca a carte coperte, perché nessuno tira fuori i nomi... È ovvio che così la gente si allontana».

Cosa dovrebbe fare ora il direttorio?
«Penso che sia importante individuare il quadro di valori diversi dall'attuale governo che incarnano la natura stessa di questa alleanza. Si individuano le 5 priorità su cui costruire l'alleanza alternativa in cui ci riconosciamo e a quel punto vediamo quali sono le energie migliori che abbiamo; e se servono le primarie ben vengano. Andare allo sfinimento giocando a carte coperte per scegliere un candidato per esclusione, anche no, guardi».

Lei parteciperebbe?
«Io sì. E non per vincere, sia chiaro, non ho questa velleità. Credo invece molto alla necessità di mettere in campo idee per il futuro usando con intelligenza la nostra autonomia. Quindi parteciperei per portare cinque o sei suggestioni per il futuro del Trentino. Se ricorda anche cinque anni fa accadde qualcosa di simile: durante le primarie fummo costretti a concentrarci sulle vere priorità e parlammo tantissimo di sanità, di assegno unico, io lavorai parecchio sul trilinguismo».

Adesso di cosa parlerebbe?
«Di smart working. Perché è sul lavoro che ci dobbiamo concentrare se vogliamo che le valli non si spopolino. Dobbiamo dare lavoro. Lo smart working può essere un veicolo, poi vanno trovate altre idee per avere altro lavoro nelle valli, cercherei di coinvolgere le associazioni di stranieri che stanno seguendo la terza generazione e le metterei di fronte agli imprenditori per un incontro fra domanda e offerta di lavoro chiedendo alle associazioni di fare da mediatori. Contro lo spopolamento non servono servizi offerti di nuovo in modo tradizionale. Serve innovazione anche lì. E insisto: serve lavoro».

Giudizio finale sul "tavolo/direttorio"?
«Se fossimo a un anno fa, direi ok, troviamo la persona giusta, facciamo un ragionamento collettivo e poi si mobilita la partecipazione. Adesso invece ormai non c'è più tempo. Quindi stop al gioco delle carte coperte, muoviamoci subito all'aperto».













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