Violenza alle donne, così si curano i maschi 

Presentati i risultati del progetto CambiaMenti. Molti uomini superano le paure, ma c’è anche chi fallisce come Marco Quarta


di Alice Sommavilla


TRENTO. “Parafrasando Marquez, sono state tante le volte in cui, facendo il mio lavoro, mi sono trovato a dover fare la cronaca di quella che si presentava già come una morte annunciata”.

Così il direttore del Trentino, Alberto Faustini, durante la conferenza “Cambiamenti: esiti del programma di rieducazione per uomini autori di violenza contro le donne”. Il riferimento è a tutti quei casi in cui l'epilogo più tragico, il femminicidio, è stato preceduto da una serie di denunce, segnalazioni e provvedimenti che non sono serviti ad evitare il peggio.

“Il tema non è nuovo - dice l'assessore alle pari opportunità, Ferrari - la legge provinciale approvata nel 2010 ha fatto in modo che la violenza sulle donne passasse dall'essere un tema privato alla condizione di dato sociale”. Unica via di soluzione, secondo Ferrari, il superamento della cultura che vede ancora l'uomo in una posizione dominante, attraverso l'educazione. Venticinque le scuole finora coinvolte e più di sessanta i percorsi attivati dalla Provincia per promuovere una cultura di consapevolezza e di promozione delle relazioni paritarie, in cui i due generi vengano considerati ugualmente dignitosi, nel rispetto delle loro differenze.

Dello stesso parere l'assessore alle politiche sociali Luca Zeni, che insiste sull'importanza del concetto di rete. “Cambiamenti”, il percorso antiviolenza per uomini attivato nel 2012 dalla fondazione Famiglia materna in collaborazione con l'associazione Alfid, nell'arco di cinque anni ha visto l'adesione di 109 uomini del territorio trentino. Alcuni di loro hanno scelto, coraggiosamente, di raccontarsi. Claudio Manfredi, cinquantenne di Mori, ammette le sue remore nel riconoscere a sé stesso di avere degli atteggiamenti violenti verso la compagna. “Le mie erano aggressioni verbali, cercavo di condizionare le sue scelte imponendole le mie, senza rendermi conto di quanto fosse sbagliato. Solamente quando mi sono guardato dentro e ho scelto di cominciare un percorso per mettere fine ai miei atteggiamenti, le cose sono cambiate”.

C'è chi aderisce al progetto perché indirizzato, magari dai servizi sociali, e chi sceglie di accedere spontaneamente, come Claudio. Anche Marco Quarta, noto alle cronache per aver ucciso nel 2015 la moglie Carmela nella loro abitazione di Zivignago, aveva partecipato ad uno di questi incontri di rieducazione, abbandonando però quasi subito il percorso. “Sbaglia chi pensa che di fronte a casi di violenza la responsabilità di denunciare sia solo della famiglia - dice ancora Faustini - in quanto cittadini siamo tutti protagonisti e abbiamo il dovere di non chiudere gli occhi davanti a quello che succede intorno a noi”.

Obiettivo del progetto di rieducazione è quello di fornire un supporto psico-educativo agli uomini autori di violenza e tutelare le vittime per far si che non ci verifichino delle recidive. “Gli uomini che arrivano da noi sono degli analfabeti affettivi - dice Anna Michelini, di Famiglia materna - il nostro intervento passa attraverso una serie di step: insegnare loro a definire e riconoscere la violenza in ogni sua forma; fare in modo che ognuno acquisisca consapevolezza dei propri comportamenti sbagliati; fornire degli strumenti concreti attraverso tecniche di controllo della rabbia e riconoscimento dei sentimenti negativi e infine far passare il concetto, inderogabile, che uomini e donne hanno pari dignità”.













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