Una folla pazzesca per vedere il sole con Capossela / FOTO
Cinquemila persone per l’«Alba delle Dolomiti», a duemila metri, al rifugio Vajolet, con il cantautore accompagnato dal cantante greco Psarantonis
Cinquemila persone. Una folla pazzesca per Vinicio Capossela, accompagnato dal cantante greco Psarantonis, stamattina all’alba, alle 6 al rifugio Vajolet, a 2200 metri, per i Suoni delle Dolomiti. Un concerto davvero irripetibile, e di un fascino irresistibile per ben cinquemila persone.
Un concerto che voleva essere un “viaggio verso casa”.
Casa è dove si parla la stessa lingua. Non una lingua di parole che si sorridono o si scontrano o si traducono, ma di qualcosa di più universale e immediatamente comprensibile a ogni uomo: come la musica, come i miti. Vinicio Capossela e il cretese Psarantonis l'hanno dimostrato con forza, trascinando il pubblico in un viaggio che è sembrato puntare dritto all'origine dei tempi. Un itinerario in due tempi, perché l'amore e la curiosità che uno dei cantautori più originali e vivaci del panorama italiano riescono a suscitare, hanno portato moltissime persone a salire al Rifugio Vajolet. Una affluenza straordinaria, che ha spinto l'artista e I Suoni a proporre un primo spettacolo alle ore 6 (della durata di quaranta minuti) per salutare l'alba e onorare chi è salito nella notte lungo i sentieri della Val di Fassa, e a proseguire quindi con un secondo momento alle ore 8, una volta atteso chi stava ancora salendo. In totale oltre tre ore di musica, poesia, letture...
Un viaggio all'origine dei tempi, si diceva. Per Capossela, reduce da una importante esperienza in Grecia, nell'anno del tracollo finanziario, che ha preso poi forma nel libro “Tefteri. Il libro dei conti in sospeso”, non poteva essere altrimenti. Perché la Grecia è per l'Occidente il luogo di nascita di molti miti. A loro, ai classici sembra tornare tutto.
Una parte di quella Grecia Capossela l'ha portata con sé, si tratta del greco Psarantonis. «Un aedo» lo presenta Capossela e lui ringrazia dicendo semplicemente «Grazia», una casuale sintesi tra grazie e la grazia, come se per lui fossero tutt'uno. Canta con una voce che sembra venire dal profondo della terra, con la folta barba e i lunghi capelli grigi mossi dal vento. Una figura “silvana” in grado di riunire in sé umanità e natura. La sua è una musica ipnotica, seppure piena di ritmo sin dalla sua prima “Alba cretese”. Poi in un continuo alternarsi tra voci e strumenti – accanto a Capossela e Psarantonis erano vari i musicisti sul palco – e finalmente la evocativa “Le Pleiadi”, inno ai cieli, ma con un occhio al mito dell'eterno viaggiare impersonato da Ulisse. Circolare e avvolgente è “Labis Xiludis” nel quale Psarantonis dice «piego il ferro... ma non riesco a sopportare la solitudine», che chiude la prima parte assieme a “Non c'è disaccordo nel cielo”, che Capossela vuole proporre perché «non c'è luogo in cui sono stato più vicino al cielo in vita mia».
Il Vajolet e il pubblico sono ancora nell'ombra quando inizia la seconda parte. «Sembra un accampamento di Ussari» dice questa volta il cantautore e regala la sua “Alba degli Ussari” prima di rincorrere il tempo. Eccolo incalzare Psarantonis – dopo un brano esplosivo – per raccontare la storia della lira. Lo strumento è stato creato da Zeus come dono a un pastore che l'aveva ospitato e sfamato ed è imbracciato dai musicisti e dagli aedi che raccontano la storia come se ci fossero stati. A lui, aedo d'oggi, Capossela dedica una canzone costruita su un dittico di Psarantonis e perfetta per la montagna: «Siamo due coste di rupe, aspettiamo un terremoto per riunirci di nuovo in un solo canto».
Se la lira è il primo strumento allora anche il primo uomo merita una canzone ed ecco “Antropos”, nella quale si assommano una serie di citazioni dal forte sapore mitologico e biblico, seguita da “Dimmi Tiresia”, che invece ci riporta a tu per tu con il celebre indovino dell'epica greca. Psarantonis, accompagnato da Psiloritis e compagni, entra nelle canzoni di Capossela, le interrompe, le scioglie con i suoi inserti ritmici, mentre il compagno italiano svela molti dei versi che passano dalla sua bocca al vento. «La natura dà impulso alle cose... La pietra, la montagna è un balsamo per il dolore umano. Per questo la natura richiede rispetto». Il mito è sempre presente, ritorna con la canzone “Il ciclope”, con “Calipso” e “La lancia del Pelide”. Ma come gli Dèi non sarebbero mai esistiti senza gli uomini, perché le loro storie non sarebbero passate di bocca in bocca e di generazione in generazione, così nel concerto dell'Alba Capossela non dimentica chi cammina e migra in “Camminante”, dall'album “Camera a sud” (1994), chi sogna in “Signora luna”, o chi crea i propri animali fantastici come il “Luro” e le proprie paure. E proprio al termine dell'esibizione, quasi a chiudere simbolicamente il cerchio, fanno la loro comparsa sulla scena le maschere della tradizione ladina i “Crampus” che scatenano gli applausi del pubblico. Dopo oltre due ore di musica tutti sono in piedi ad applaudire, desiderosi di altre canzoni, di altre parole e Capossela regala ancora canzoni fino alla ironica “Dove vanno a finire i calzini” con la quale congeda i migliaia di fan.