«Un birrificio che vuolecreare convivialità»
Nuove imprese. “Impavida” è l’azienda, tutta al femminile, nata al Cretaccio di Arco «Abbiamo voluto creare un luogo piacevole, aperto alla comunità, anche per eventi esterni»
Arco. Un birrificio che sia, sul modello statunitense, oltre che fabbrica anche luogo di incontro o di cultura. Una produzione di quattro diverse birre (Peler, Free Solo, Chain Breaker e Moxie), nate da luppoli prevalentemente statunitensi, per un prodotto local e contemporaneamente glocal. Un’impresa al femminile, quella di “Impavida”, che ha sede nella località produttiva di Arco, al Cretaccio, ma guarda già ben oltre i confini altogardesani, mirando a un’azienda a 360 gradi, che sia in grado di imporsi anche all’estero. Di come nasce l’idea del nuovo brand e dei tanti sogni per il futuro, abbiamo parlato con l’amministratore delegato, Raimonda Dushku.
Partiamo dall’idea, come vi conoscete, Lei e la Sua socia, Serena Crosina, e come decidete di diventare imprenditrici della birra?
Serena ed io (che abbiamo rispettivamente 42 e 35 anni) ci conosciamo oltre 20 anni fa, per motivi lavorativi: io ero infatti impiegata nell’azienda del padre di Serena. Nel tempo, chiaramente, si è consolidato un rapporto in primis di amicizia. Alla birra arriviamo grazie alla nostra esperienza in America: Serena vive da tempo tra l’Italia e gli Stati Uniti e là il birrificio è luogo consueto di incontri tra amici, di convivialità. Se per tanto tempo, insomma, ci eravamo trovate a portare l’italianità all’estero, per una volta abbiamo pensato di invertire la rotta.
In cosa, allora, il vostro birrificio “Impavida” è di ispirazione americana?
Là non si tratta quasi mai di soli luoghi di produzione, di fabbriche, ma, al contrario, sono posti belli, anche esteticamente, locali, ma anche spazi dedicati alla comunità, con aree per bambini. Nel nostro caso, quindi, abbiamo voluto creare, appunto, un luogo piacevole, ma che fosse anche aperto alla comunità, lasciando ad esempio una grande sala a disposizione di eventi esterni e delle associazioni del territorio. Vogliamo trovare suggestioni nuove, nuovi connubi tra la birra e l’esterno.
E perché tutto questo proprio qui, ad Arco?
Sarebbe stato più semplice aprire un albergo o qualcosa di simile, ce ne rendiamo conto. Ma non è un caso se abbiamo voluto chiamarci “Impavida” ed avere coraggio: crediamo che la birra sia solo una delle tante componenti del bere e del mangiare bene, forse quella meno nota in zona. La vocazione al tema e la presenza di turisti del territorio, però, sono tutti fattori a vantaggio...
Per quale sogno?
Per una rete ampia, nazionale ma perché no, anche internazionale. Non abbiamo pensato il birrificio come, appunto, luogo di produzione, o locale ristoro: lo abbiamo pensato a 360 gradi. Ed è questo, forse, il tocco più femminile che potessimo dargli.
Ci spiega meglio?
Femminile, per me e Serena, non ha mai voluto dire rosa o a fiori. Infatti anche l’ambiente che abbiamo creato è tutt’altro che lezioso: è minimale, è elegante, è ecostostenibile, è frutto delle commistioni e delle esperienze dei viaggi fatti nella vita. A nostro avviso, dicevo, femminile non è esasperazione, ma autenticità: siamo noi, e lo siamo con uno sguardo ampio, che va dal prodotto, allo staff (da Anja la bartender, a Matteo Milan il mastro birraio), fino ad arrivare al merchandising.
Grande è anche la vostra attenzione alla sostenibilità ambientale, in cosa?
Si parte dalle materie prime: il malto d’orzo proviene da coltivazioni Ogm Free; il lievito di birra viene riciclato dalla lavorazione della birra; i luppoli sono naturali e l’acqua è di provenienza locale. Dopo la lavorazione, poi, lo scarto delle trebbie viene reintrodotto in natura tramite compost industriale, mentre il resto degli scarti, invece, viene riciclato. L'energia elettrica necessaria alla produzione, ancora, viene da fonti esclusivamente rinnovabili e pannelli solari. Abbiamo poi scelto di produrre la nostra birra in lattine di alluminio, un materiale riutilizzabile all’infinito, il cui riciclo richiede fino al 95% in meno di energia e di impatto di Co2 rispetto a produrlo dalla materia prima, contro il 26,5% del vetro, solitamente utilizzato per contenere la birra.
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