Turismo, mancano 3000 stagionali
TRENTO. Il mondo del turismo trentino scalda i motori in vista della stagione invernale. A pochi giorni dall’apertura dei primi comprensori sciistici, le precipitazioni nevose di martedì hanno fatto tirare un sospiro di sollievo, almeno per il momento, agli operatori, che affrontano spese di innevamento sempre più alte, nonché alle montagne e ai boschi stremati dall’estate prolungata e dalla siccità.
Ma al di là dell’incognita climatica, con l’inverno torna anche la spinosa questione del lavoro stagionale. Nella prima stagione fredda senza restrizioni ai viaggi, tra prenotazioni al top e ottimismo diffuso anche per gli arrivi dall’estero, non si trova personale: dei circa 30mila lavoratori del settore turistico in Trentino, metà sono stagionali, con punte passate di 20mila persone. Cifre che il solo bacino locale non può certo soddisfare. Con l’inverno alle porte, mancano all’appello ancora in 3000.
Un trend che suscita allarme tra gli operatori del turismo, colonna portante dell’economia trentina.
«L’inverno è solitamente più facile da coprire rispetto all’estate, perché non abbiamo la concorrenza di mare e laghi che offrono contratti più lunghi rispetto ai 3-4 mesi della montagna» spiega Marco Fontanari, Presidente dell'Associazione Ristoratori del Trentino.
Le mancanze, però, sono trasversali ad ogni settore. «A soffrire di più è il comparto della cucina - riferisce il presidente di Confcommercio Giovanni Bort - non si trovano cuochi, pizzaioli,ma neanche personale di sala, soprattutto qualificato». Ma faticano anche gli alberghi, a corto di receptionist, portieri, personale ai piani, e anche i centri benessere.
Le difficoltà sono state esasperate dai due anni di Covid: col turismo fermo, 1 lavoratore su 5 è migrato verso altri settori. Professionisti con anni di esperienza che per sopravvivere hanno cambiato incarichi, abitudini, ritmi. E il solo contributo di chi arriva da fuori non è sufficiente a coprire il fabbisogno dell’industria.
«Da un paio d’anni abbiamo avviato una collaborazione con l’Agenzia del lavoro e i sindacati per avviare iniziative di matching e campagne di reclutamento» spiegano ancora da Confcommercio. Un’iniziativa che aiuta, ma che non basta a colmare tutte le mancanze.
«La situazione è complicata anche dal ritardo del decreto flussi, la legge che permette l’ingresso di lavoratori di paesi non Ue - osserva Gianni Battaiola, presidente Asat - in assenza della legge, per i datori di lavoro è difficile stimare anche quale sarà la quota di ingressi permessi in Trentino».
C’è poi la questione della qualifica dei lavoratori. «Tutti lamentano la mancanza di personale qualificato, ma se lo vogliamo attirare dobbiamo trasmettere l’idea che in Trentino si vive bene: ciò significa condizioni di lavoro non solo accettabili, ma appetibili - osservano Paola Bassetti, Lamberto Avanzo e Walter Largher, segretari Filcams Cigl, Fisascat Cisl e Uiltucs - dalla trasparenza sin dalla fase di selezione, a salari congrui con la quantità di ore richieste, alla possibilità di garantire un alloggio sia ai lavoratori che alle loro famiglie». La sfida, visto il costo della vita in regione, è doppia, ma va affrontata.
In caso contrario, le ricadute, a fronte di presenze record, rischiano di essere gravi: ristoranti costretti a lavorare a metà della capienza, su prenotazione, con lunghe attese e code anche solo per un pasto. «Così rischiamo di giocarci la qualità dei servizi e il ritorno degli ospiti l’anno dopo» è l’allarme dei sindacati. «Il futuro è il turismo non di quantità, ma di qualità - concludono - non possiamo puntare solo su poche località turistiche ormai sature: dovremmo pensare a un modello più slow, a contatto con il territorio. Vallarsa, Val dei Mocheni e non solo. Potrebbe essere l’occasione anche per rilanciare aree ad alto rischio di spopolamento».