«Trentino, società rancorosa e paurosa»
Dorigatti traccia un quadro preoccupato della situazione socio economica e chiede maggiore coesione
TRENTO. «Le decisioni sulle candidature spettano al partito. Se il partito me lo chiederà, io ci sarò». E’ stato un sindacalista barricadero e coraggioso, ma quando si parla di elezioni e candidature Bruno Dorigatti si trasforma nel più felpato e prudente dei democristiani. Che abbia una gran voglia di correre, alle provinciali, lo dice però il discorso che ha scelto per tracciare un bilancio dell’ultimo anno di legislatura del Consiglio provinciale. Più che un consuntivo sembrava un preventivo, un discorso di candidatura che individua i difetti della società trentina, i rischi che corre e, oltre alla disperante diagnosi, anche un accenno alla possibile cura: «La società trentina è diventata sempre più rancorosa, spaesata, paurosa. Si può uscire recuperando un maggior grado di coesione sociale», ha detto il presidente leggendo i foglietti compilati con la solita minuziosa calligrafia.
Presidente la domanda che viene spontaneo porle è una: si ricandiderà?
(Risata imbarazzata cui segue pausa). Questa è una decisione che spetta solamente al partito...Io comunque ci sarò e rispetterò le decisioni del partito.
Lei è al termine della seconda legislatura come presidente. In questi anni quali sono stati i maggiori cambiamenti?
Beh c’è stata la rivoluzione portata a livello nazionale dal governo Monti che ha ridotto le indennità dei consiglieri. Poi c’è stata la vicenda dei vitalizi di cui ancora si sta parlando e di cui si parlerà ancora molto. Dal punto di vista istituzionale c’è stata l’eliminazione della cosiddetta porta girevole che ha portato un risparmio di 5 milioni di euro nell’arco di una legislatura, ma, a mio parere, ha anche fatto perdere autorevolezza al Consiglio. Quando c’era la porta girevole il Consiglio era più autonomo rispetto alla giunta e portava avanti molte iniziative autonome. Con il nuovo sistema, invece, è più schiacciato sulla giunta.
Per le elezioni provinciali, pensa che la coalizione di centrosinistra autonomista vada bene così o può essere allargata?
Penso che possa anche essere allargata, ma tenendo ben presente l’obiettivo che deve essere quello di tutelare di diritti civili e di resistere a questo vento di destra che sta soffiando sempre più forte.
I cittadini, però, sentono la politica e anche il Consiglio sempre più distanti. Vi dovete dare una mossa.
Intanto dobbiamo fare lo sforzo di scrivere leggi meno complicate e più comprensibili. Poi si deve dare l’esempio. Noi lo abbiamo fatto. Siamo passati da una spesa di 14 milioni di euro per il Consiglio a una di 11 milioni. E parte di questi soldi li abbiamo restituiti per interventi destinati al sostegno dei giovani in cerca di lavoro.
Sì, però, la distanza rimane. Anzi, aumenta e la gente vede nei politici il male peggiore.
Ormai c’è una grande fluidità dei corpi sociali, delle istanze e delle aspettative delle persone. La società trentina è sempre più frammentata, rancorosa, meno sensibile e meno attenta alla coesione sociale. Penso alla crisi della Cooperazione trentina che è un esempio di questo processo. La società è scollata, sempre più litigiosa, meno coesa. Siamo di fronte a un Trentino pauroso delle novità, dei grandi cambiamenti. Non si intravvede un disegno che riapra il futuro. E questo ci mette in una condizione di debolezza complessiva. C’è un forte spirito nichilista che va superato.
I partiti non sembrano fare molto.
I partiti sono assorbiti dalle diatribe interne e non sono incapaci di superare questo senso di spaesamento e di sfiducia sociale puntando la prua verso il domani. Così si va verso una società degli insoddisfatti, di persone che saranno sempre e comunque insoddisfatte. Qualunque sia la risposta. Dobbiamo essere in grado di cambiare la nostra narrazione, facendoci interpreti dei bisogni e riscoprendo i valori.
Un esempio della distanza tra persone e si è registrato anche con Consulta e Convenzione per la riforma dello Statuto, due tentativi, qui e in Alto Adige, che hanno visto scarsa partecipazione popolare.
Non sono d’accordo. Il lavoro di Convenzione e Consulta non è lavoro sprecato, ma sarà un’indispensabile proposta per quando sarà necessario. Io penso che ci vuole un dibattito regionale. Senza Regione, non c’è autonomia e senza Autonomia non c’è futuro, né per la Regione né per le due provincie autonome. L’importante è che si tenga conto che l’Autonomia non è un bancomat, non è solo un qualcosa da cui prelevare soldi. Si deve anche versare.
Qual è la prima mossa cui pensa per ripartire e per trovare coesione sociale?
Io penso che si debba andare verso una maggiore partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende, un po’ sul modello di quello che accade in Germania con la partecipazione dei lavoratori nei Cda delle grandi aziende. Sul piano istituzionale poi penso a un nuovo Concilio, un concilio dei territori e delle periferie che si possa tenere qui per tracciare e disegnare un’idea di futuro.