Il dibattito

Suicidio assistito, in Italia la legge è ferma

I parlamentari trentini intervengono sulla morte di dj Fabo: è dura andare oltre il biotestamento


di Francesca Quattromani


TRENTO. Il suicidio assistito non appartiene all' italico sentire; a queste latitudini si cresce con il profumo dell'incenso e con norme dal lento impasto sul fine vita che non contemplano ancora il diritto che portano i venti del nord dell' Europa, il diritto di uccidersi. Ma un italiano, Fabio Antoniani se ne è andato così, in Svizzera, dove la dignità della morte è legge, quella legge che lo Stato Italiano ha congelato da un anno e che non va confusa con il ddl sul biotestamento. Il fatto è che dalle 11.40 di ieri, Fabio Antoniani, dj Fabo, non c'è più. Tetraplegico e cieco dall'estate del 2014, a causa di un incidente, ha scelto di porre fine alla propria vita , a 39 anni, e questo riaccende il dibattito sia sull'eutanasia che sul biotestamento.

Sull'eutanasia il dibattito è stato avviato in Parlamento nel 2013, ma è fermo da un anno con il suo bagaglio: sei proposte di legge che dovrebbero confluire in una. La legge sul biotestamento è stata approvata in commissione alla camera la scorsa settimana, a marzo arriverà in aula. Le leggi però non si fanno sull'onda dei casi. Dj Fabo era in grado di intendere e di volere e voleva il suicidio assistito. Si fa dunque un salto di qualità, nell'opinione pubblica, dal biotestamento all'eutanasia. Ciò che concretamente si può legiferare in Italia, ora, è solo del testamento biologico.

«Un falso problema - dice il senatore Giorgio Tonini - . I casi particolari sono difficilmente risolvibili così - e pensa al caso Englaro- . Non lo vedo un giovane in salute che pensa ad una dichiarazione del genere. Un malato sì, lo può fare. Il caso di Dj Fabo supera un tabù, con la richiesta di morire. Non chiedeva che si smettesse di curarlo. E’ diverso. Io ritengo si debba privilegiare la libertà di scelta delle persone».

Anche l’onorevole Lorenzo Dellai ricorda che la legge attualmente in discussione riguarda quando sia lecito interrompere i trattamenti sanitari nei casi in cui la condizione del paziente sia irrecuperabile ed a fronte di una dichiarazione preventiva. «In questo caso c’ è stata la somministrazione di una sostanza letale, la stessa che viene usata per la pena di morte e che è materia di una campagna mondiale di messa al bando - precisa Dellai - . Le leggi non si fanno sulla base di casi drammatici. Questo è un caso difficile: lasciando una volontà è giusto trovare un punto di incontro, ma si deve evitare l’ applicazione strumentale. La legge non può forzare l’applicazione di un suicidio assistito; il suicidio non può essere contemplato da una legge, chiamata solo a dettare principi generali».

Al momento, dunque, si dibatte di dichiarazioni di volontà, di alleanze terapeutiche tra paziente, famiglia, medico. Centro sinistra disponibile ad approfondire ulteriormente la materia, precisandone gli aspetti giuridici, perplesso il centro destra. «E’ un testo equilibrato - secondo l’onorevole Michele Nicoletti. Un testo che rispetta la costituzione e che tutela le esigenze di cui le persone hanno bisogno a fine vita. La sfida è organizzare le cure palliative. Serve un equilibrio tra la cura da prestare e l’accanimento terapeutico».

Liberalizzazione a staccare la spina, così la chiama il senatore Sergio Divina e lo lascia perplesso. «Non sono questioni politiche. Oggi si può dire no all’accanimento terapeutico oltre, mi pare, che in Italia non si possa davvero andare. E’ una questione di coscienza, di etica, di cultura soprattutto. Noi non abbiamo una mentalità così permissiva, siamo ancora un paese cattolico, dove la vita è sacra. Penso che, quando sei lì e ti dicono di staccare la spina ad un parente, ad un figlio...Io non ne sarei capace».













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