Sla, trentotto casi anche in Trentino
Il dottor Bortolotti: «Malattia terribile. Importante garantire ai pazienti un’alta qualità della vita fino alla fine»
TRENTO. La campagna dell’Ice Bucket, la doccia ghiacciata lanciata sui social network per concentrare l’attanzione pubblica sul dramma della Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica, sta raccogliendo molte adesioni anche in Trentino. Benché alcuni storcano il naso davanti alle storture dell’esposizione mediatica e all’inevitabile esibizionismo che si è generato per gemmazione naturale, l’effetto di ritorno è che finalmente si parla di una malattia rara, che colpisce anche decine di trentini. A settembre dell’anno scorso la Provincia ha deliberato una serie di misure e sostegni per poter dare a tutti i cittadini ammalati di Sla le medesime possibilità di trattamento. Uno dei medici che segue i casi di Sla trentini è il dottor Paolo Bortolotti, che segue gli aspetti neurofisiologici dei pazienti a Villa Rosa, a Pergine.
Dottore, più che di cure si parta di trattamenti, e quasi sempre di cure palliative.
Sì. L’eziologia della Sla non è ad oggi conosciuta. In sostanza, non sappiamo quali siano le cause della malattia, bensì come essa si manifesta. Si tratta di un’ossidazione precoce dei neuroni che governano il movimento corporeo. L’aspetto motorio è ciò che mette in relazione la persone con il mondo esterno, e l’aspetto terribile della Sla è proprio il repentino venir meno delle funzioni motorie, fino alla morte.
Che sopraggiunge in breve tempo.
Sì, la sopravvivenza va dai due ai tre anni dopo la prima diagnosi. Ma ciò che è più grave è la graduale incapacità del paziente nel comunicare, nel l’esprimere il proprio pensiero. Per non lasciare i pazienti in questo stato di isolamento sono stati fatti degli sforzi per dotare i malati di ausili come i comunicatori, speciali computer che vengono azionati dal movimenti degli occhi e permettono di parlare anche a chi ha perduto l’uso della parola.
Quanti sono i casi di Sla in Trentino?
Circa quaranta. Ad oggi sono 38, ma i numeri sono variabili perché purtroppo i decessi fanno parte di questa triste statistica.
Non tutti i pazienti sono ospedalizzati.
No, anzi circa tre quarti di loro vengono curati in casa. In ospedale, o nelle Rsa, vengono ricoverati quelli che hanno perduto la capacità di respirare in autonomia e devono essere aiutati con delle terapie.
Non c’è cura, per la Sla.
Oggi no. Il paziente di Sla cessa di vivere quasi sempre per problemi respiratori ed è quando la malattia degenera che si rende necessario il ricovero. Dato che la sopravvivenza è piuttosto breve, diventa importante la qualità della vita residua, che va resa migliore possibile. In generale, secondo la letteratura medica, la malattia insorge dopo i 50 anni ma negli ultimi tempi abbiamo visto molti pazienti in età più giovane, anche con meno di 40 anni. E si tratta spesso di persone sane, sportivi, non fumatori.
La Sla è detta anche “morbo di Gehrig” dal nome del giocatore di baseball Lou Gehrig,l a cui venne diagnosticata alla fine degli anni Trenta. C’è una correlazione tra l’attività sportiva e la Sla?
Nello sport a certi livelli, mi riferisco all’agonismo e in particolar modo al calcio professionistico, si usavano sostenze iperossidanti che avevano la funzione di aiutare l’atleta ad aumentare le proprie prestazioni . Con gli anni queste pratiche sono state considerate dopanti e quindi proibite, ma per lungo tempo sono state impiegate nello sport agonistico. É probabile che l’impiego di queste sostanze, abbinate a una predisposizione naturale, abbiano fatto insorgere la malattia. Non per nulla i casi di Sla tra gli ex calciatori professionisti hanno una frequenza superiore rispetto alla media.
Il Trentino fa rete con Alto Adige, Veneto e Friuli venezia Giulia nel fronteggiare la Sla.
Sì, le varie regioni sono state accorpate per territori omogenei da alcuni anni e noi facciamo riferimento al Centro di Padova. Rispetto ai territori limitrofi, abbiamo un buon rapporto tra ospedali e territorio, e poter mettere a disposizione dei malati aiuti quali i computer a controllo oculare o delle carrozzine elettriche, e in tempi molto brevi, aiuta ad elevare la qualità della vita residua.
Cosa si può fare per migliorare l’assistenza?
La rete prevista dalla delibera dello scorso anno non è stata sviluppata in toto, siamo un po’ lenti. Ma grazie al contatto con i principali centri di ricerca riusciamo a indirizzare i pazienti da specialisti qualificati. Anche per avviarli, se lo desiderano, a nuove cure sperimentali. Spesso accade che chi è disperato si rivolga a degli “apprendisti stregoni”. Noi cerchiamo di fare in modo che le cure abbiano una valenza clinica. Qualcosa di più andrebbe fatto a livello di sostegno psicologico: la Sla è fonte di sofferenze personali molto forti.
L’Ice Bucket per molti è una sciocchezza, ma almeno serve a raccogliere fondi per la ricerca.
La raccolta di fondi è importantissima, dal lavoro sulel cellule staminali ci attendiamo presto nuovi risultati. É vero che l’Ice Bucket stimola l’esibizionismo, ma lo è altrettanto che i fondi per la ricerca non sono mai abbastanza.