Sclerosi multipla, Trento dà speranza
Al Centro Franca Martini in 2.600 attendono la cura del dottor Zamboni
TRENTO. In attesa ci sono 2.600 persone da tutta Italia. A essere preso d'assalto, con attese di un anno e più, è il Centro Franca Martini, fondato nel 1982 per i malati di sclerosi multipla che vengono seguiti a livello interdisciplinare da neurologi, fisioterapisti, logopedisti, psicologi. E da un anno si utilizza l'apparecchio per verificare l'insufficienza venosa secondo gli studi del professor Zamboni. Paolo Zamboni, direttore del centro malattie vascolari all'Università di Ferrara, ha studiato la sclerosi multipla da quando a sua moglie è stata diagnosticata la malattia. Nelle sue ricerche ha messo in evidenza una connessione tra la sindrome di insufficienza cerebro-vascolare cronica e la sclerosi multipla. E' stata la fisiatra Rossella Siliotto a sentir parlare nel 2009 di questa via alternativa. Spiega Rossella Siliotto: «Zamboni ha studiato i parametri di centinaia di pazienti affetti da sclerosi multipla, individuando un'insufficienza venosa cerebrospinale cronica (definita con la sigla: Ccsvi, ndr.) cioè una stenosi, una chiusura delle vene che dal cervello drenano il sangue al cuore. In altre parole, una delle concause della malattia, è che le vene a livello cerebrale dei pazienti malati hanno un tessuto connettivo diverso da quello normale, per cui rilasciano ferro intorno ai vasi venosi, attivando il sistema autoimmune. Il ferro mette in moto i macrofagi, cellule deputate a far pulizia che però, oltre a mangiare il ferro, mangiano anche la mielina, che è la sostanza che avvolge i neuroni, provocando così la sclerosi multipla». Quella che finora era la causa della malattia, la patologia demielinizzante, potrebbe essere un effetto. «Ora abbiamo a disposizione - aggiunge la dottoressa - l'apparecchio che può verificare se ci sono problemi nel deflusso del sangue venoso dal cervello verso il cuore, con il conseguente ristagno di ferro. L'esame è l'eco-color-doppler transcranico, effettuato con un macchinario acquistato dalla Provincia di Trento, ed usato dal radiologo Paolo Giacomoni al San Camillo». Essendo però pochissime le strutture in Italia che dispongono di questo macchinario, al Centro Martini ci sono liste d'attesa lunghissime, dato che i pazienti che non hanno trovato giovamento con altre cure, ora sperano in questa. Siliotto, che esercita anche al San Camillo, visita tutti i malati di sclerosi multipla, con ritmi pazzeschi, dalle sette di mattina alle otto, nove di sera. Malati che intraprendono viaggi della speranza e che si sono riuniti nella comunità virtuale del sito www.ccsvi-sm.org, attivo da un anno a questa parte e che ha 30 mila iscritti. Silvia Chinellato è una delle fondatrici dell'associazione "Ccsvi nella sclerosi multipla". «Il problema - spiega - è che la sanità pubblica è impreparata di fronte alla domanda spropositata di cure alternative ai farmaci immunodepressori. Sono stati aperti altri centri in Italia, ma si deve essere anche prudenti, perché bisogna essere sicuri di chi utilizza l'eco-color-doppler». «La cura attuale della sclerosi multipla - precisa Siliotto - non va oltre la somministrazione del cortisone, quando c'è il riacutizzarsi della malattia. Ma questo può solo rallentare il decorso della malattia ed ha pesanti effetti collaterali». L'Azienda sanitaria ha manifestato l'intenzione di sperimentare la cura del professor Zamboni. Afferma a questo proposito l'assessore alla sanità Ugo Rossi: «Il legame tra la sclerosi multipla e l'insufficienza venosa non è acclarato e il ministero della sanità impone linee guida per sperimentare questa cura. Ho preso contatti perciò con il mio collega dell'Emilia Romagna per far entrare anche il Trentino nella sperimentazione». Ma Siliotto affronta la malattia in un'ottica più generale: «Penso che si debba riconsiderare il modo con cui ci si rapporta al malato. E' raro che il medico affronti la malattia partendo dal corpo e collegandolo alla mente e all'anima. La malattia è spesso un modo per esprimere un disagio emotivo e, fino a quando non troviamo uno sfogo, continuiamo a soffrire».
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