Sanità salvata dal calo dei nati: a Trento i parti di Cles e Cavalese 

Il rapporto. Nessuna ripercussione per la chiusura in marzo e aprile dei punti nascita delle valli di Non e Fiemme Il S.Chiara ha fatto fronte solo a un lievissimo aumento del carico di lavoro. In totale rispetto al 2019 il 4% di nati in meno


Andrea Selva


Trento. Continua in trentino il calo delle nascite, tanto che la chiusura dei punti nascita di cles e cavalese per oltre due mesi (a causa dell’emergenza covid) non ha avuto ripercussioni sul sistema dei punti nascita dell’azienda sanitaria. i dati sono stati diffusi ieri e indicano nel primo semestre del 2020 un calo del 4,3 per cento rispetto all’anno precedente, con una proiezione a fine 2020 di circa 3.700 parti, ben al di sotto della soglia dei 4 mila nati in trentino (superata anche nel 2019 con 4041 nati) e lontanissimi dai 5 mila bambini venuti al mondo all’anno che erano la norma fino a una decina di anni fa.

Il crollo nelle valli

I dati più evidenti sono quelli di Cles e Cavalese, rispettivamente con un calo dei nati nei punti nascita di valle rispettivamente del 40 e del 20 per cento circa. Ma questa situazione si spiega con la chiusura dei punti nascita nei mesi di aprile e maggio (addirittura dal 22 marzo all’ospedale di Cles) quando è stata disposta la gestione di tutte le nascite provinciali negli ospedali di Trento e Rovereto per gestire al meglio l’emergenza Covid. Un dato che fa riflettere è che la chiusura dei punti nascita - assieme appunto al calo dei nati, che non dipende ovviamente dall’emergenza Covid - non ha avuto particolari ripercussioni sul sistema trentino. Anzi, anche Rovereto ha avuto una lieve flessione nelle nascite (7 bambini in meno rispetto al primo semestre del 2019, pari a un calo dell’1,3 per cento) mentre l’ospedale Santa Chiara di Trento ha dovuto sopportare un aumento del carico di nati di appena 14 unità, che non ha richiesto alcun intervento organizzativo, al di là naturalmente delle precauzioni necessarie per l’emergenza Covid.

Le deroghe ministeriali

Considerato il periodo di emergenza è chiaro che per Cles e Cavalese (che pure ha avuto una buona tenuta, considerati i due mesi di chiusura forzata) difficilmente si porrà la questione del rispetto delle soglie statali che prevedono un numero minimo di 500 nati all’anno per gli ospedali di montagna. Il punto nascita della valle di Fiemme era già ampiamente sotto soglia (166 nati nel 2019) e quest’anno si fermerà probabilmente a una quota inferiore, ma continuerà probabilmente a godere di una deroga speciale ottenuta dalla provincia e dall’Azienda sanitaria in forza del fatto che all’ospedale di Cavalese vengono comunque rispettati i parametri di organico e sicurezza previsti per gli altri ospedali. I dati attuali - con un calo di nati anche all’ospedale di Rovereto - cancella di fatto ogni speranza di riapertura, ipotizzata a inizio anno dalla giunta provinciale.

L’attività nei reparti

Chiaramente l’attività del personale nei quattro punti nascita provinciali (Trento, Rovereto, Cles e Cavalese) è molto diversa: nel capoluogo ci sono in media più di 6 parti al giorno, numero che si dimezza a Rovereto, mentre a Cles nel primo semestre di quest’anno è nato un bambino ogni due giorni e a Cavalese un bambino ogni tre. Altri dati: a Trento c’è stato un giorno (il 14 maggio, un giovedì) in cui sono venuti al mondo 18 neonati. A Cavalese il massimo giornaliero è stato di 2 bambini, ma ci sono state anche settimane (ad esempio tra il 4 e il 10 giugno) in cui non è nato alcun bambino. Secondo gli operatori sanitari che seguono il percorso nascita il periodo di lockdown non ha dimostrato finora alcun effetto, che pure era stato ipotizzato, sulle nuove gravidanze.















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