San Colombano, un mare di fango
Completato lo svaso del lago: riappare la valle come non si vedeva da 60 anni
ROVERETO. I meno giovani ricordavano la valle come era, durante la costruzione della diga. Ma per chi ha meno di 65 anni quello di San Colombano è sempre stato un lago. Forse per questo in questi giorni il pellegrinaggio dei curiosi è continuo. Lo svaso è terminato e l'impatto visivo è impressionante. Il fondo appare piatto, livellato da una decina di metri di fango. Dal quale spuntano scheletriche le cime degli alberi di 60 anni fa.
A segnare il livello abituale dell'acqua c'è il limite della vegetazione, ora una ventina di metri almeno al di sopra di quello del fondo. E in mezzo a quella piana dall'aspetto post-alluvione, scorre il Leno: poco più di un rigagnolo di fango, che sta segnando lo strato di sedimenti nei quali «sprofonda» nella parte più a monte almeno un paio di metri.
Il bacino è stato svuotato da Dolomiti Energia, che lo gestisce, per dei lavori di manutenzione non più rinviabili allo scarico di fondo. Non c'erano alternativa. Ma la speranza era che potesse rimanere una pozza di 4 o 5 metri di profondità al piede della diga, a salvare almeno una parte dei pesci. Invece nulla. I sedimenti arrivano proprio fino allo scarico di fondo, quindi al punto da raggiungere. Trote, persici, tinche, lucci, cavedani, sanguinerole, scardole. Qualcosa si sarà anche salvato, cadendo nel Leno con la cascata melmosa dello svaso, ma la stragrande maggioranza è morta lì, ingoiata dalla melma finissima del fondale.
Troppo pericoloso quasiasi tentativo di recupero dei pesci. Al di là delle difficoltà logistiche, che i pescatori si erano anche attrezzati per superare, quando è stato chiaro in quale inferno di fango instabile si sarebbe dovuto lavorare, hanno rinunciato. I pesci sono importanti, ma le persone di più. Col reinvaso, tra pochi giorni, il lago tornerà in apparenza come prima, ma totalmente morto. E ci vorranno dieci anni almeno per ripristinare una popolazione «normale» di pesci.