«Sait, cambi pesanti ma per sopravvivere» 

Il direttore generale Luca Picciarelli racconta il suo “anno terribile”: «Non sono un ristrutturatore con la valigia pronta, vorrei restare a lungo»


di Andrea Selva


TRENTO. Da un anno e mezzo alla direzione di Sait, il direttore generale Luca Picciarelli, 47 anni, milanese, sapeva a cosa andava incontro nel percorso di ristrutturazione del consorzio, ma ugualmente la realtà trentina gli ha riservato alcune sorprese che ha accettato di raccontare al Trentino con questa intervista. Il bilancio 2017 chiuderà con i conti in regola mentre si discute di quanti (e quali) lavoratori dovranno lasciare l’azienda.

Direttore Picciarelli, quando è arrivato a Trento nell’aprile del 2016 si era reso conto della situazione?

Molte cose erano state previste, tanto che c’era un fondo di accantonamento (definito prima del mio arrivo) per far fronte a un’eventuale ristrutturazione aziendale. La necessità di un intervento era chiara al presidente e al consiglio di amministrazione, serviva una persona per fare un piano e portarlo avanti.

Le proporzioni dei sacrifici necessari erano già evidenti?

Vorrei fare una premessa.

Prego.

Non ho un passato da ristrutturatore aziendale, a parte un piccolo precedente con un numero di persone molto contenuto: mi sento più un “allenatore”. Se volevano un ristrutturatore aziendale avrebbero chiamato un’altra persona.

Ma il suo compito è apparto subito così arduo?

Diciamo che il numero dei 130 esuberi, così pesante dal punto di vista emotivo, è emerso dopo due o tre mesi di lavoro. Solo allora abbiamo compreso la dimensione del problema, con un numero importante sia perché è a tre cifre sia perché è una buona percentuale dei 381 lavoratori di Sait.

È stata una sorpresa?

Fino ad un certo punto. Da più parti – sindacati compresi – c’era la coscienza che c’erano 50-60 persone in esubero. Il discorso qui non era la differenza tra 0 e 130 lavoratori, ma tra 50 e 130 lavoratori. La vera sorpresa è stata un’altra…

Cioè?

L’effetto che questa cosa avrebbe avuto sul territorio trentino, che è molto particolare. Te ne accorgi solo quando arrivi qui. Non mi aspettavo tanto interesse e pressioni per le vicende di Sait.

Il Sait fa più notizia degli altri?

Sembra proprio di sì. L’interesse della stampa mi ha molto sorpreso e ho rilevato che spesso la discussione si sposta sui giornali, talvolta in modo strumentale.

Si è chiesto perché?

C’è una sorta di assimilazione di questa azienda ad un’azienda pubblica. Ma è un errore. Siamo un’azienda privatissima che opera in un settore molto dinamico e molto competitivo. La ricerca di efficienza, che fa parte del mandato che ho ricevuto, è un criterio di sopravvivenza.

Nell’ultimo anno si è parlato dei rapporti con Latte Trento, della fuga delle Coop, degli esuberi e dell’accordo con Fercam. Quale vicenda l’ha colpita di più?

Diciamo che il caso Latte Trento è stato un esempio di quanto possa essere esasperata l’attenzione per la nostra azienda. Crediamo molto nei prodotti locali, abbiamo visto che registrano numeri in crescita anche nei periodi difficili, ma la revisione di quell’assortimento (fatta esattamente un anno fa) era obbligatoria, la imponeva il mercato. Ma con Latte Trento abbiamo sempre un ottimo rapporto.

I sindacati rivendicano le differenze tra la realtà trentina e la Lombardia e l’Emilia. Hanno ragione?

Il tema della competitività e dell’efficienza è lo stesso ovunque.

Ma i consumatori trentini hanno abitudini e comportamenti diversi?

Due cose: in Trentino c’è un evidente “campanilismo del consumatore”, cioè straordinaria attenzione per i prodotti locali, ma è altrettanto evidente che non c’è un socio consumatore disposto a cedere un centesimo per compensare eventuali inefficienze aziendali. Insomma i consumatori trentini non fanno lo sconto a nessuno. L’attenzione alla convenienza è uguale ovunque, tanto che in questo momento in cui Sait è sotto i riflettori per argomenti sicuramente “non felici” i consumatori ci stanno premiando: stiamo vendendo di più, perché ci viene riconosciuta la ritrovata competitività.

La scelta di mantenere i servizi sul territorio viene premiata dai consumatori?

Si tratta di una scelta che è nelle nostre corde e su cui continueremo ad essere impegnati ma che comporta un costo enorme. Manteniamo servizi in zone altrimenti abbandonate. Quanto ai clienti, considerano questi negozi come un servizio di prossimità e non come un’offerta esclusiva, quindi praticano il “nomadismo commerciale” come avviene dappertutto.

Lei va a fare la spesa?

Certo, qui in Trentino vivo solo e quindi provvedo personalmente, naturalmente nei nostri supermercati, in particolare a Ravina, che per me è il più comodo.

Guarda il prezzo?

Non potrei farne a meno, è il mio mestiere.

Ancora non ha trasferito qui la famiglia, conta di fare le valigie dopo aver riorganizzato Sait?

Al contrario, non mi immagino il mio lavoro in Trentino a scadenza e spero di rimanere qui a lungo, non so se questa sarà una buona notizia per il territorio... (sorride)

Al suo arrivo i lavoratori l’hanno chiamata mister Esselunga, ma non era un complimento.

Diciamo che è stata una delle esperienze importanti della mia vita, molto formativa ma un manager è una somma di tutte le sue esperienze. Quanto al soprannome, mi pare un po’ riduttivo ma mi rendo conto che faccia curriculum... (sorride)

Si è discusso di un piano di reintegro dei lavoratori, chi ci deve pensare: Sait? La Cooperazione? La Provincia?

Pensare che Sait pensi al reintegro del personale mentre lo sta tagliando è una contraddizione in termini. Posso dire che la Cooperazione è molto impegnata sul tema.

Di quanti lavoratori parliamo ora?

Avete scritto 85, ma sul tema c’è un patto di riservatezza che abbiamo concordato con i sindacati per procedere il confronto serenamente, con l’obiettivo di chiudere il 20 dicembre.

L’arrivo di nuovi concorrenti fa paura al Sait?

Siamo vicini al 50% del mercato, qualcosa meno perché abbiamo perso alcune cooperative. È evidente che siamo i primi candidati a perdere qualche quota nel momento in cui arrivano nuovi soggetti. Ma per noi la concorrenza è un elemento di stimolo. Ci sono città che hanno caratteristiche particolari, penso a Rovereto dove c’è il record di superficie commerciale con 495 metri quadri ogni mille abitanti: il doppio della Toscana, un terzo in più rispetto alla Lombardia, che vengono considerate le piazze più competitive d’Italia. Non si può certo dire che non ci sia concorrenza. E’ anche per prepararci ai nuovi scenari che stiamo riorganizzando Sait.

Però i prezzi non sono più bassi che altrove.

Diciamo che su altre piazze ci sono politiche commerciali più aggressive.

Nella vicenda Sait lei fa la parte del cattivo.

Io la vedo in modo diverso: sono un manager che ha un determinato mandato e che si confronta con il consiglio di amministrazione per raggiungere gli obiettivi.

C’era un metodo diverso per ottenere lo stesso risultato?

È una delle cose che ci siamo chiesti spesso in questi mesi, ma non siamo stati in grado di trovare una soluzione diversa. Quando l’esordio è una ristrutturazione aziendale così massiccia è difficile risultare simpatici a tutti.

La riorganizzazione di Sait ha fatto notizia su almeno quattro fronti (di cui abbiamo parlato). Ce ne sono altri in arrivo?

È un percorso che continua, ma i risultati li troveremo già nel bilancio del 2017. Certo quando ti confronti con partner e fornitori parlando di tagli e risparmi nessuno ti ringrazia, ma è curioso che sull’ultima vicenda, quella dei trasportatori, alla fine ci siamo accordati negli stessi termini con cui ci eravamo lasciati.

C’è una grande resistenza al cambiamento?

Una resistenza assoluta. Tutti vogliono cambiare, ma solo finché il cambiamento non riguarda loro.

La riorganizzazione che il consorzio sta affrontando è dovuta a errori di Sait o all’evoluzione del mercato?

Il mercato è cambiato in tempi rapidissimi e l’azienda (prima del mio arrivo) ha deciso che era il caso di affrontare questi cambiamenti. In ballo – ripeto – c’era la sopravvivenza.













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