Rovereto, c’era una volta il Bosco della città

Quasi terminato l’intervento di totale eliminazione del pino nero. Sopra Vallunga resta una collina spelacchiata


di Luca Marsilli


ROVERETO. Se invece che di un cantiere «benedetto» dall’amministrazione comunale fosse stato l’effetto di una tromba d’aria o di tre giorni di incendio, parleremmo di catastrofe ambientale e paesaggistica, di collina devastata e deturpata. Di rimpianto e insopportabile nostalgia, ripensando a tutte le volte in cui quelle quinte di alberi maestosi e solenni sono state sfondo per i momenti più diversi della nostra vita.

Invece è tutto normale, addirittura «benefico» visto che il risultato finale sarà, giurano gli esperti, un bosco migliore. Nessuna catastrofe. Anche se saperlo non riesce a scacciare la nostalgia.

Il bosco della città non c’è più. Al suo posto una balza spelacchiata e imbarazzante, piena di sterpi e incredibilmente piccola, rispetto alla percezione che se ne aveva salendo tra gli alberi i tornanti che da Vallunga portano fino al parcheggio e poi scendendo al «Vanezom». Impossibile riconoscere nulla di quello che era ed è stato per generazioni di roveretani. Come una distesa di macerie non permette nemmeno di intuire cosa fossero le sale e gli stucchi di un palazzo crollato. Fin dal lungo rettilineo che dall’incrocio per Toldi sale verso l’ex bosco, si prova il disagio di chi si sente fuori posto. E la sensazione diventa quasi dolorosa arrivando al primo tornante e vedendo solo una distesa di sterpi nello spazio che separa dalla strada soprastante, vicina come mai ce la si sarebbe immaginata. Proseguendo, salendo ancora, peggiora.

Dove c’era il parcheggio, due cataste di alberi non ancora ripuliti alte una decina di metri chiudono ai due lati la strada. E’ la sommità della collina e quardano verso ovest si vede la città: la Solatrix subito lì sotto, e poi lo stadio, la valle, il fiume. Camion, trattori e motoseghe sono ancora all’opera, ma il grosso è fatto. Il pino nero, ammalato e per gli esperti ormai a «fine ciclo», è stato completamente tolto dal bosco della città. Ovviamente, non c’è rimasto nulla che ricordi un bosco. E nulla di simile a quello che era tornerà nemmeno più. Nell’arco di una quindicina di anni, è la previsione degli esperti, i latifoglie tipici della nostra zona colonizzeranno gli spazi lasciati liberi. Quindi roveri, frassini, carpini, aceri. Essenze già presenti ma che i pini «soffocavano» impedendone lo sviluppo. Non è prevista alcuna piantumazione: la natura, dicono, farà da sè. Mentre il comune di proprio ci metterà infrastrutturazione (allargamento del parcheggio in quello che è diventato una specie di belvedere sulla città, una pista ciclopedonale che dal Brione sale sulla collina, un’area didattica al Vanezom) e «riqualificazione». In pratica, al posto del bosco nascerà una specie di parco urbano. Artificiale quanto lo era il bosco (quei pini erano stati piantati 100 anni fa per riforestare un’area desertificata da disboscamenti e pastorizia) ma più moderno e sano. Tutto giusto, razionale, inevitabile. Alla faccia del la nostalgia.

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