«Questa riforma peggiora la qualità della democrazia»
Profiti in campo per il «no»: «Servono leggi meditate, non frettolose». Le autonomie? «Potranno essere spazzate via»
TRENTO. Il dibattito è infuocato non solo tra politici e costituzionalisti. Nella battaglia sulla riforma costituzionale uno che ci ha messo la faccia è il sostituto procuratore Pasquale Profiti, che in Trentino è diventato uno dei testimonial del «no» al referendum: «Questa riforma - dice - peggiora la qualità della nostra democrazia».
Dottor Profiti, l’argomento per cui la riforma sarebbe un pericolo per la democrazia è tra i più contestati. In cosa consiste secondo lei questo rischio?
Duci e militari al governo non sono più immaginabili nelle cosiddette democrazie occidentali. La qualità della democrazia, quella sì, può ulteriormente peggiorare. Da questo punto di vista la riforma è conservatrice, al di là delle affermazioni di chi la sostiene. Prosegue una tendenza che si è dimostrata deleteria per la coesione sociale e per l’economia: accorciare i tempi delle decisioni del governo, ridurre i dibattiti parlamentari, tra le forze politiche, tra governo e forze sociali. In questa tendenza, in atto da oltre vent’anni, s’inserisce l’idea del trovare un vincitore elettorale a tutti i costi, anche se poco rappresentativo delle istanze sociali, al quale affidare procedure veloci di decisione. Basti considerare che già oggi la stragrande maggioranza delle leggi proviene dai governi, che, quando vogliono, impongono procedure rapidissime. Ciò avviene soprattutto nel settore dell’economia e del lavoro, dove massima è la caduta di democraticità delle decisioni, in Italia e nell’Unione europea. Con le conseguenze che tutti possiamo osservare. La riforma accentuerà questo fenomeno in maniera decisa.
Lei ha dichiarato che non c'è un problema di efficienza del procedimento legislativo in Italia. Eppure il tema dell'efficienza, legato a due Camere che svolgono la stessa funzione (un unicum in Europa) è da anni posto all'attenzione dal mondo produttivo e degli investitori. Il superamento del bicameralismo paritario non è una buona ragione per dire che la riforma va fatta?
La questione del Senato è un’esca. Non è decisivo per la qualità della democrazia e, al limite, si può abolire se nell’altra camera fosse garantita aria di pura democrazia. Ma la riforma mantiene il Senato, con un tasso di confusione enorme, insopportabile, sia per quanto concerne le competenze, che per le modalità di elezione, che per la sua reale utilità. Se passerà la riforma rimpiangeremo il vecchio Senato: abbiamo bisogno di leggi più meditate e condivise, non di più leggi approvate frettolosamente la cui qualità, da un punto di vista tecnico, lascia a desiderare.
La riforma è passata per sei letture parlamentari, 5 mila votazioni, 83 milioni di emendamenti. Si può sostenere che non ci sia alla base un processo di legittimazione democratica?
Basterebbe ricordare che si tratta di una riforma costituzionale approvata da un Parlamento eletto in violazione anche dell’articolo1 della Costituzione, quello che fonda la nostra democrazia sulla sovranità popolare. Non è questione di forma; tutto ciò non può che creare sfiducia nelle istituzioni e nella partecipazione. Aggiungo che i milioni di emendamenti in realtà sono stati subito dichiarati irricevibili, come quelli famosi di Calderoli, o non sottoposti a votazione per effetto del “canguro” o in sostanza non discussi per effetto della “ghigliottina” dei tempi di discussione.
L'ex parlamentare Giorgio Postal sostiene che bisogna votare sì perché se la riforma costituzionale non passasse, si interromperebbe un processo riformatore certamente controverso, ma che si è avviato. Cosa non la convince?
Non so a quale processo riformatore ci si riferisca. Io vedo un perseverare verso la direzione sbagliata: una governabilità che consolida i privilegi, aumenta le diseguaglianze, crea disaffezione verso le istituzioni. In queste condizioni la governabilità non ci porta da nessuna parte. Non eleggeremo direttamente i senatori, che pure potranno riformare la Costituzione; non eleggeremo gli enti territoriali intermedi tra Comuni e Province, che pure rimangono. Le autonomie locali regionali nel resto d’Italia perdono competenze a vantaggio dello Stato, è un processo di centralizzazione per effetto del quale le comunità territoriali vedranno ancor di più decisioni imposte dal centro sopra la loro testa, contribuendo a creare delusioni e distacco verso le istituzioni. Pensiamo alle grandi infrastrutture imposte ai territori, che si penserà di poter imporre dall’alto rinunziando al difficile compito dei politici in una democrazia: convincere i propri rappresentati di quei territori che tutti gli interessi, anche i loro, sono stati considerati e che l’impatto di quelle infrastrutture non distruggerà il loro modo di vivere, la loro salute, le loro economie. E ricordiamoci che una legge costituzionale potrebbe spazzare via le autonomie speciali, senza bisogno di alcuna intesa. Quando si mette mano alla Costituzione con un braccio di ferro, nulla più sarà garantito come prima.
Perché gli italiani dovrebbero credere che se vincerà il «no», dal giorno dopo le forze politiche si rimetteranno al tavolo e riusciranno ad elaborare una riforma migliore? Non è un argomento a vantaggio del «sì» quello per cui oggi si vota tra questa riforma e lo status quo, e non tra questa riforma e una migliore riforma?
Non so a cosa si pensi con il riferimento allo status quo. Se devo pensare a un qualcosa che in questi decenni ha fatto dell’Italia un paese a vocazione democratica che prima non era, che ci ha consentito di resistere alle tentazioni fasciste dei primi anni del dopoguerra, ai terribili assalti della mafia e del terrorismo, ai tentativi dichiarati od occulti di stravolgere i principi costituzionali con le logge massoniche, le leggi ad personam, l’asservimento dei poteri di garanzia, la mia risposta è chiara: lo spirito democratico che ha dato origine alla Costituzione, prima ancora che al suo testo. Mi fa rabbia pensare che alla Costituzione si attribuisca finanche il demerito dei costi della politica e della burocrazia. Gli uomini che principalmente hanno scritto la Costituzione e l’hanno difesa erano persone che per le loro idee hanno sofferto la fame e il carcere. Ciò che oggi non va l’abbiamo creato noi, non a causa della Costituzione, ma nonostante la nostra Costituzione che è stata, finora, la nostra unica, vera, ancora di salvezza.
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