Profughi, l’Austria e le buone pratiche dell’accoglienza

Il confronto ieri in Regione con l’amministrazione di Schwaz Su 14 mila abitanti, la città ospita 170 richiedenti asilo


di Fabio Peterlongo


TRENTO. L’Austria è più accogliente dell’Italia? Sembra di sì, e lo dimostra numeri alla mano. Con 2000 richiedenti asilo (10 ogni 1000 abitanti), l’Austria si è attenuta alle quote europee di redistribuzione. Se si considera che il dato trentino è di 3 su 1000 e quello italiano è di 2,6, ci si rende conto di come oltre il Brennero l’accoglienza sia diventata una realtà.

Significativa è l’esperienza di Schwaz, cittadina tirolese gemellata con la circoscrizione Argentario: lì risiedono 170 richiedenti asilo su 14 mila abitanti. Ieri il confronto tra gli amministratori austriaci e quelli trentini nella sala della Regione, organizzato dalla circoscrizione Argentario.

Viktoria Gruber, assessora comunale di Schwaz, descrive il percorso: «Mentre è in corso la domanda d’asilo, gli aspiranti rifugiati non possono lavorare, ma vengono impiegati in lavori sociali per un massimo di 20 ore settimanali». L’investimento della comunità è stato ad ora considerevole: «Abbiamo speso 120 mila euro per i pocket money destinati ai richiedenti asilo, per il personale di sostegno e per l’attivazione di manifestazioni culturali in grado di favorire il dialogo». Anche in Austria, tuttavia, non mancano le voci di dissenso, soprattutto tra gli amministratori locali. Thomas Hatzl, direttore dell’Ufficio assistenza sociale della città di Schwaz, racconta: «I Länder devono obbligatoriamente collocare i richiedenti asilo ed i Comuni che dicono sì devono farsi carico delle quote lasciate inevase da parte di chi non li accetta: veniamo lasciati soli e i soldi dei pocket money non ci vengono restituiti».

L’assessora Gruber fissa un principio, quello dell’abbattimento delle barriere culturali: «Intendiamo evitare qualsiasi forma di ghettizzazione e perciò ricorriamo al collocamento in case private e nelle abitazioni messe a disposizione dai servizi sociali del Tirolo. Importante è un progetto che si rivolge alle donne e madri in fuga, per far loro pianificare attività comuni con le donne del posto e soprattutto praticare la lingua tedesca». Hatzl: «I gruppi etnici maggiori tendono a rimanere tra di loro e non hanno contatti con il resto della popolazione. Non vogliamo che capiti ciò che è successo con la popolazione turca: in Tirolo ci sono supermercati turchi, dove le etichette sono scritte in turco, persino la televisione è in lingua turca; così i bambini arrivano alle elementari senza conoscere il tedesco». Si insiste sul miglioramento della lingua, come pilastro principale per un inserimento efficace. Dice Hatzl: «Conoscere il tedesco è il requisito indispensabile per inserirsi nel mondo del lavoro; questo vale in particolare per i giovani ed i bambini, ancora in grado di apprendere con facilità una nuova lingua. Qui, le persone più anziane trovano difficoltà e non si riescono a portarle ad un livello sufficiente. Ma ci devono essere anche misure indirizzate a loro». In definitiva, a Schwaz hanno compreso che per sconfiggere le paure e raggiungere l’obiettivo di un’integrazione sostenibile, vanno superati gli steccati culturali, ma che questa apertura deve coinvolgere tutte le parti: sia chi accoglie, sia chi viene accolto.













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