il caso

Prese l'epatite con una trasfusione infetta: il Ministero non vuole pagare

Due le sentenze favorevoli alla donna, ma Roma continua a nicchiare. Ora c’è l’ordine del Tar: risarcimento da 553 mila euro



TRENTO. Una trasfusione che l’ha segnata per tutta la vita. Un «errore» medico che è stato condannato con due sentenze; in primo grado e in appello. E quando quest’ultima è diventata definitiva, la donna si aspettava di vedersi arrivare il risarcimento cui aveva diritto. Il risarcimento di oltre mezzo milione di euro che era stato deciso dai giudici. Invece nulla.

Oltre al danno (fisico e permanente) la beffa di un ministero che non ottempera a quello che gli è stato ordinato di fare. Non che il denaro sia un effettivo ristoro dei danni patiti, ma quei soldi, oltre ad essere un diritto della donna, la potrebbero aiutare a vivere meglio.

E ieri, con una decisione presa in tempi lampo, a favore della donna arriva anche una sentenza del Tar che ha dichiarato «l’inottemperanza alle decisioni del Tribunale e della Corte di Appello e ha ordinato al Dirigente Generale responsabile per settore del Ministero della Salute di ottemperare a quanto disposto dalle citate sentenze e, conseguentemente, di provvedere al pagamento, entro il termine perentorio di giorni 40 decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa della presente decisione, delle sopra indicate somme, con gli interessi legali, come specificato in motivazione». Ossia entro 40 giorni il ministero dovrà pagare i 553 mila euro.

E per ogni giorno - passati i 40 - di ritardo dovrà pagare pure una penale. Una vittoria importante quella ottenuta dall’avvocato Elisa Bruni che da anni segue la vicenda della donna.

Una storia difficile che ha inizio in uno dei momenti più gioiosi, ossia durante la gravidanza. È mentre aspetta il figlio - stiamo parlando di 40 anni fa - che la donna viene sottoposta ad una trasfusione di sangue. E solo dopo alcuni anni si rende conto di stare male. Epatite è la diagnosi dei medici.

Un’epatite che - sentenzierà in via amministrativa il tribunale del malato - ha un nesso eziologico con la trasfusione. Che era stata fatta con sangue infetto. Viene riconosciuto alla donna il diritto ad un indennizzo ma l’avvocato decide di procedere anche sul piano penale per veder riconosciuto anche un risarcimento.

La sentenza di primo grado è a favore della donna e viene impugnata dal ministero. Si va quindi in appello ma il finale è lo stesso: la donna ha diritto al risarcimento. La sentenza diventa definitiva ma i soldi non arrivano ed ecco quindi la richiesta presentata davanti al Tar. Che ancora una volta riconosce il diritto alla donna di ricevere quel denaro. Ora il ministero ha quaranta giorni di tempo per liquidare il danno provocato. Se non lo farà, dovrà pagare una penale giornaliera. (m.d.)













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