Precaria per 13 anni: Fondazione Mach punita

Il giudice del lavoro ha dato ragione a una donna, tecnico di laboratorio, esclusa dalla stabilizzazione nel 2010: reintegro immediato e risarcimento


di Giuliano Lott


TRENTO. Ha lavorato per 13 anni filati come precaria alle dipendenze dell’Istituto agrario di San Michele (dal 2000 Fondazione Mach), passando da una forma contrattuale all’altra: contratti a progetto, a tempo determinato, co.co.co. Poi tre anni fa, mentre la Fondazione Mach avviava un massiccio piano di stabilizzazione per un centinaio di lavoratori precari, lei si trovava in maternità ed è rimasta esclusa. Giovedì il tribunale del lavoro le ha dato piena ragione, ordinando l’immediato reintegro nelle sue mansioni e condannando la Fondazione a corrisponderle nove mensilità a titolo di indennizzo.

La donna, un tecnico di laboratorio che oggi ha 32 anni, era stata una delle due figure professionali precarie sfuggite alla stabilizzazione nel 2010 e a fine anno si era pure vista rifiutare il rinnovo del contratto, malgrado fosse quella ad aver maturato maggior esperienza. In principio lei si era rivolta alla consigliera di parità Eleonora Stenico, la quale aveva cercato una mediazione con il datore di lavoro proponendo un accordo stragiudiziale. Ma la strada era sbarrata: la Fondazione ha opposto un secco rifiuto a ridiscutere la posizione del tecnico di laboratorio.

Così la donna ha avviato un’azione legale rivolgendosi agli avvocati Annelise Filz e Alessio Giovanazzi, che hanno ricostruito attraverso numerose testimonianze gli incarichi ricevuti dalla loro cliente negli anni, facendo ricorso al giudice del lavoro.

Tutti i testimoni - persino quelli convocati dalla controparte - hanno confermato che il tecnico ha sempre e solo fatto lo stesso lavoro: in laboratorio si occupava della genotipizzazione della vite. Anche quando la documentazione asseriva il contrario. É ad esempio emerso che la donna era stata inserita in un progetto per lo studio dei salmonoidi, ma di fauna ittica non si è mai occupata. Questa discrasia è stata spiegata da un teste della Fondazione, il quale con esptremo candore ha spiegato al giudice Giorgio Flaim che il tecnico cambiava spesso contratto perché in questa maniera diveniva possibile retribuirla grazie ai fondi della comunità europea.

Il giudice Flaim ha così stabilito che, da un lato, mancavano i requisiti di legge per poter applicare un contratto a tempo determinato, e dall’altra che le diverse forme contrattuali nascondevano in realtà un lavoro dipendente a tempo indeterminato, organico al funzionamento della struttura. Dunque il mancato rinnovo del contratto equivale a un ingiusti licenziamento e per queste ragioni la Fondazione Mach è stata condannata, oltre a riassumere il tenico, a pagare 15.700 euro di arretrati.













Scuola & Ricerca

In primo piano