Piccoli imprenditori, separati e soli i più colpiti dalla crisi
Il direttore della Caritas Calzà traccia il profilo dei trentini sull’orlo della povertà: «Basta una bolletta e si precipita»
TRENTO. Cammina confuso tra la folla di un fine settimana in centro. Ha messo il cappotto più leggero vista la temperatura che sa di primavera. Segni particolari, nessuno. Se non fosse per quello sguardo pensieroso rivolto al selciato. Ha tra i 40 e i 50 anni, non è certo trasandato ma porta con sé un fardello di problemi che fino a qualche anno fa non sapeva neanche dove stessero di casa. E ora lo investono, e tormentano, giorno dopo giorno. Un lavoro che traballa, o precario. Ogni mese l’affitto o il mutuo da pagare, ogni due le bollette. Per giunta quasi tutte a fine mese, il momento più difficile, da vivere in apnea, da segnare in rosso sul calendario. E’ il trentino che, riflette Roberto Calzà, direttore della Caritas, «mai, fino a qualche anno fa, si sarebbe rivolto ai Punti di ascolto e parrocchiali per chiedere aiuto».
Ma adesso sì, inevitabilmente, con la crisi che galoppa, anche con un po’ di vergogna, vivendo il senso di un fallimento. E’ lo spaccato ultimo di un pezzo di società che fino all’altro ieri non era benestante ma viveva una vita di lavoro e sufficientemente tranquilla, togliendosi pure qualche sfizio, senza esagerare e scialacquare, certo, ma neppure contando i centesimi nel portafoglio. Eppure adesso il fenomeno esiste, rimane ancora sottotraccia ma i punti più sensibili, quelle sentinelle della solidarietà che, fortunatamente, in Trentino non mancano l’hanno registrato da tempo e vedono aumentare, come acqua che invade l’alveo di un torrente per anni rimasto in secca. La Caritas l’ha messo nero su bianco, «senza per questo voler creare allarmismo», sottolinea il direttore. Nel giro di un anno i trentini che si sono presentati nei Punti d’ascolto sono aumentati dell’11% superando, percentualmente, gli stranieri. Complessivamente, sono quasi 1000 e parte di loro era, fino a poco temo fa, sconosciuta. Gli sportelli del Credito solidale che erogano piccoli prestiti grazie ad un accordo tra Caritas ed alcune Casse Rurali fanno ormai il pieno.
I sociologi li definiscono i nuovi poveri e la loro fatica quotidiana, la frustrazione di non poter più corrispondere alle aspettative proprie ma anche altrui, di chi sta vicino, spesso non trovano sfogo. Perché un altro dato che emerge in questa nuova moltitudine è la solitudine, pochi amici, se non nessuno, neanche un prete con il quale confidarsi. D’altronde, aver iniziato a lavorare molto presto sacrificando gli studi (spesso si sono fermati alle medie anche se non mancano i diplomati), ed essere riusciti a tirare su una piccola azienda non ha lasciato spazio a molto altro, ha sacrificato pure i rapporti. Che adesso sono carenti, come le commesse, il lavoro. Mediamente, ora, si porta a casa un migliaio di euro al mese, ma se si rompe il furgone sono guai mentre i fornitori battono cassa e i debiti aumentano, come le ingiunzioni di pagamento. Se poi si ha famiglia è ancora peggio, se in vista c’è una separazione il baratro, anche relazionale, è dietro l’angolo. Con il rischio, concreto, e succede, che una vita di coppia prima dignitosa si trasformi in una doppia povertà. C’è anche chi, alla Caritas chiede il pacco viveri, ché al supermercato non ce la fa più ad entrare e domanda una mano per pagare le spese. È un’umanità in crescita, anonima, che dovrebbe toccare la coscienza di tutti. Ma spesso invisibile, che passa a fianco, muta e silenziosa.
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