Piazza Dante, lo sballo dei giovanissimi

Minorenni, “strafatti”,sguaiati e italiani: l’identikit dei nuovi frequentatori dei giardini davanti alla stazione ferroviaria


di Paolo Piffer


TRENTO. Ore 17,30 in piazza Dante. L'ora è la stessa dell'accoltellamento dell'autista del bus, ma il giorno dopo. La gente passa veloce sotto il monumento, diretta in stazione. O esce da sotto la tettoia razionalista di Mazzoni per dirigersi in centro.

C'è quell'atmosfera tipica dei non luoghi, un passaggio, sguardi bassi, da fine giornata. Tipica di tante stazioni della maggior parte delle città. Stazioni popolate, dentro e nei dintorni dei binari, dalla più varia umanità. Eppure, nel giro di poche centinaia di metri quadri le sensazioni cambiano, perché, all'imbrunire, le luci si modificano, le ombre non sono uguali una all'altra, variano a seconda delle chiome degli alberi che lasciano la loro impronta unica sul ghiaino. La popolazione che “occupa” quegli spazi circoscritti, i tanti spezzoni del giardino, ha atteggiamenti e pose diverse. Ricalcano la provenienza, le attitudini, gli scopi della loro presenza.

Se c'è un aspetto palese che contraddistingue i giardini di piazza Dante è la loro divisione per etnia, per area di provenienza, panchina per panchina. Maghrebini, neri dell'Africa profonda, italiani sbandati. Spazi definiti, invalicabili e non comunicanti. Pure i gesti sanciscono le differenze. Nel luglio scorso è successo il finimondo. Ma non è quella la normalità. Il trantran quotidiano è altro. E' certo il piccolo spaccio, ma non solo. Anche se ieri sera, 24 ore dopo l'accoltellamento, c'era molta più circospezione.

Chiedi del fumo, ti squadrano e poi ti dicono che non ce l'hanno. Sembra quasi un giorno di tregua, di attesa. Uno scrutare i movimenti della piazza, individuandone le eventuali anomalie, rimarcando i territori. Una pattuglia della polizia municipale controlla da lontano. Non ci sono agenti che percorrono i vialetti. Arrivare al laghetto è un attimo. Seduti sullo schienale delle panchine, tante le lattine di birra sulla seduta, si fanno i fatti loro. C'è perfino una coppietta in atteggiamento da Peynet. Dall'altra parte della piazza, proprio sotto il palazzo della Provincia, l'area giochi è ancora affollata. Mamme e papà fanno divertire i più piccoli. Fare il giro largo, che costeggia l'hotel Trento, significa incappare nel lato forse più desolato della zona. La palazzina liberty è transennata in attesa di tempi migliori. Stessa sorte per la vecchia sede dell'apt. Un cartoccio di castagne costa 2 euro, a fianco della stazione. E' il posto giusto per guardare dentro i giardini e osservare il via vai. E sentire le frasi smozzicate “sugli stranieri che ci rubano la casa”. E pure vedere ragazzi giovanissimi, non avranno più di 16 anni, mica stranieri - bianchi, italiani, trentini - che sbucano da dietro, “fatti e rifatti”, sguaiati, con i neuroni in pappa, mix di alcol, farmaci e droga. Gli operatori di strada, che in piazza Dante ci stanno ogni sera lo dicono chiaramente. Dicono che, certo, c'è la piccola delinquenza, lo spaccio al minuto, ma che l'area di quella che i sociologi chiamano la marginalità supera di gran lunga la prima. E dentro questa marginalità da senza fissa dimora, adulti, c'è anche una fetta di imberbi. Non solo li vedi, e perlomeno intuisci, ma preoccupano. Sono la fotografia di un disagio evidente, che non si nasconde più, senza inibizioni. Faticoso da intercettare. In questo, la stazione e piazza Dante rappresentano un microcosmo in movimento. Segnano, giorno dopo giorno, i passaggi di una società dolente. E non sarà mai un mercatino di Natale messo lì per un mese, come battuta gettata lì tra una castagna e l'altra, a venire incontro a quel male di vivere.

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